La grande quercia |
da Il Giornale (Antonio Lodetti)
Con mano leggera, davvero felice, il cineasta romano evoca una delicata vicenda dislocata negli anni di guerra, tra il '43 e il '45, nel corso dei quali tre bimbetti giocosi e assetati di tutto vivono, soffrono, gioiscono in sintonia con i genitori gli eventi spesso tormentosi di quel periodo drammatico. La grande quercia si dispone così sullo schermo come il vissuto interiore, tra favola e sogno , di una tipica condizione infantile. È un film semplice per una semplice storia, ma realizzato con fervida passione ed esemplare misura.
da Avvenimenti (Callisto Cosulich)
Un film sugli italiani nella seconda guerra mondiale non deve necessariamente raccontare battaglie, di Bir el Gobi, della ritirata di Russia, della guerra partigiana, delle Fosse Ardeatine. C'era quel che si soleva chiamare il "fronte interno", dove la presenza della guerra era quotidiana e non frammentaria come nella zona di combattimento, dove il combattimento vero e proprio, in genere di corta durata, si alternava a lunghi periodi di tempo sospeso, di alienante, forzata vacanza. I film che raccontano le vicissitudini del "fronte interno", le privazioni crescenti dei "civili", sono pochi e quei pochi restituiscono meglio degli altri l'aria, la temperatura dell'epoca: descrivono la guerra reale, anziché quella guerreggiata che sullo schermo diviene per forza di cose immaginaria. La grande quercia è uno di questi. E' un film basato sulla memoria, in particolare sulla memoria infantile, poiché la vita provvisoria di quegli anni è filtrata attraverso gli occhi dei bambini, in cui l'autore si identifica probabilmente per un fatto autobiografico, recuperando certe sue personali esperienze. Più o meno lo stesso procedimento seguito da John Boorman in Anni '40, da Jaime Camino in Le lunghe vacanze del '36 e da Silvano Agosti in Uova di garofano. Necessità quindi di navigare a bassa quota per la campagna e la costa laziali, dove la vicenda in gran parte si svolge, di captare gli avvenimenti minimi, per esempio, la graduale scomparsa degli animali domestici, cercando di dare loro il massimo significato; necessità collegata anche all'esigenza di contenere il più possibile i costi di produzione. Perché La grande quercia è film povero ma coerente con una visione delle cose che in tutta la sua durata non viene mai tradita. Non ti dà mai l'impressione delle nozze coi fichi secchi, per capirci. Eppure questo film, sebbene sia passato con successo di critica nello scorso febbraio al Festival di Berlino, è "invisibile" anche al più attento lettore dei quotidiani "tamburini"… Triste destino quello di Paolo Bianchini, regista di tredici film di genere spy stories, maccheroni-western, "commediacce", film di serie Z, ignorati da tutti i dizionari del cinema, che d'improvviso "si redime" con un gesto d'autore e trova lo stesso muro di silenzio che lo aveva afflitto in precedenza.
TORRESINO - incontri con il cinema italiano ottobre/dicembre 1999