Il
cinema i taliano esplora le storie oscure del nostro passato recente. Errori giudiziari ne sono sempre accaduti, ma
Il fuggiasco,
diretto con sicurezza e passione da Andrea Manni, romano, 45 anni,
racconta qualcosa di più: un caso limite di ingiustizia all'italiana, in
cui si sommano pregiudizio politico della polizia e inefficienza
indifferente della magistratura. Una condensazione che può ripetersi in
ogni momento e rivelarsi letale per la vita delle persone.
Nel 1976 a
Padova Massimo Carlotto
, diciottenne militante di Lotta Continua, venne
accusato di un omicidio su cui doveva soltanto testimoniare. Nel 1993
venne graziato dal presidente della Repubblica Scalfaro. Durante 17 anni
subì 11 processi equivalenti a 96 chili di documenti giudiziari; passò 6
anni in carcere; per 5 anni fu esule e fuggiasco a Parigi, a Barcellona, a
Città del Messico. Adesso ha 47 anni, vive a Cagliari. Nel 1995, sostenuto
da Grazia Cherchi, ha pubblicato «Il fuggiasco» (da cui il film è tratto)
per la casa editrice e/o presso la quale sono usciti altri sei suoi
romanzi vincitori di premi e tradotti in diversi Paesi. Oltre
l'esasperazione di Carlotto, il film racconta molto bene l'oppressione
della clandestinità, la perdita di identità, l'assenza di futuro («Che
faccio della mia vita?»), il logorarsi degli affetti anche più saldi,
la forza della solidarietà fra sradicati, l'angoscia inflitta alle persone
amate. E la privazione della libertà, il carcere senza sbarre: è esemplare
la sequenza in cui il protagonista su una spiaggia isolata di fronte al
mare urla il proprio nome come per recuperarlo, per recuperarsi. Daniele
Liotti, sobrio, scorato eppure speranzoso, coglie da bravo attore
l'occasione giusta che gli viene infine offerta; Alessandro Benvenuti è
perfetto nella parte di un avvocato difensore altruista e tenace. Tutti
gli interpreti sono del resto adeguati e bravi, nel film serio e ben
riuscito, a suo modo appassionato.
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Il protagonista
di questo film che ha lo stesso titolo del primo romanzo di Massimo
Carlotto dopo la fine della sua odissea giudiziaria, è Carlotto stesso.
Interpretato (con una maturità prima sconosciuta) da Daniele Liotti.
Quello che dalla metà degli anni 90 è noto come l'inventore del detective
che si fa chiamare Alligatore, amante del calvados come Maigret, e come
uno dei più promettenti scrittori di noir italiani (la sua casa editrice è
e/o), era uscito con la grazia concessa dal presidente Scalfaro nel '93 da
un calvario iniziato molti anni prima. Diciottenne padovano quando la
città era il fulcro dell'estremismo di sinistra, attratto anche lui
nell'orbita dei gruppi extraparlamentari di sinistra, Massimo fu incolpato
di un delitto non commesso - niente di politico - solo per essere stato
così imprudente da presentarsi ai carabinieri a testimoniare su ciò che
aveva visto sulla scena dell'assassinio dove, con l'imprudenza di chi non
ha nulla da temere, aveva seminato le proprie impronte. Il seguito è fatto
di vari gradi di giudizio, di conferma di una pesantissima condanna, di
fuga all'estero, di latitanza prima a Parigi poi a Città del Messico, di
ritorno in galera, di malattie, di pena dei genitori, di perdita degli
affetti, della perseveranza di un avvocato che non l'ha abbandonato mai.
Finemente interpretato da Alessandro Benvenuti nel film. È il film di un
quasi esordiente ma svelto e incalzante nel ritmo e carico di passione
genuina. |