da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Cina,
anno 859. Mentre la potente dinastia Tang entra in declino, un intrigo
coinvolge tre persone: Mei, giovane rivoluzionaria cieca, e i due
ufficiali Leo, capo della polizia, e Jin, che si spaccia per un guerriero
solitario di nome Vento. A imbrogliare le carte, interviene l'amore
col suo seguito di menzogna e doppiogioco, tradimento e vendetta.
Due anni dopo
Hero
(da noi uscito pochi mesi fa), Zhang
Yimou torna a esercitarsi nel wuxia;
ma questa volta lo fa rispettando alla lettera le regole del cinema
di spada cinese. Non, come nel precedente, metafore (più o meno ambigue)
sul potere, ma una saga romantico-guerresca, un film d'arti marziali
che sfida, sul suo stesso terreno, il sovrastimato
La tigre e il dragone.
Lo schema del potere tirannico e della società segreta (la setta dei
Pugnali Volanti) che lo combatte è il contenitore tradizionale di
una storia a cassetti, tutta colpi di scena; protagonisti signori
della guerra, cavalieri ambigui e walkirie dal volto d'angelo. Alla
lunga il gioco delle maschere e dei complotti s'infittisce persino
troppo, complicandosi man mano che il film procede tra una verità
che manda in pezzi la precedente e una rivelazione che fa vacillare
ogni certezza. E' a questo punto che, nello spettatore, può insinuarsi
un senso di déjà vu un po' frustrante, malgrado lo sfarzo delle immagini.
Che si volatilizza, però, appena cominciamo a guardare La foresta
dei pugnali volanti per quel che è davvero: un grande melodramma fatto
di asolo, recitativi, cori e continui pezzi di bravura. Se in luoghi
obbligati del genere, come l'imboscata nella foresta di bambù, le
coreografie di Tony Ching Siu Tung toccano livelli mai raggiunti,
perfino l'imprevisto contribuisce a rendere unica la sontuosa bellezza
visiva del film: vedi il duello finale tra l'eroe e il suo rivale,
per cui Zhang
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cinélite
TORRESINO
all'aperto:
giugno-agosto 2005