Mahi Va Gorbeh (Fish&Cat)
Shahram Mokri
- Iran 2013 - 2h 14'

Venezia 70 - ORIZZONTI: premio per il miglior contributo originale


 

   Se la scuola dei registi iraniani conosciuti in Italia ci ha abituati ad un cinema improntato sulla poetica del realismo, il giovane Shahram Mokri (1977), al suo secondo lungometraggio1, sceglie una strada diversa, pur ispirandosi ad una storia realmente accaduta.
Un gruppo di studenti, in campeggio nel nord dell'Iran per una gara di aquiloni, incappa in tre cuochi dall'aspetto inquietante2, che lavorano in un ristorante vicino e sono alla ricerca di carne da cucinare. La didascalia iniziale fa riferimento alla storia vera della scoperta di un ristorante, che serviva carne umana macinata.
Gli elementi in campo sono quelli tipici di un horror movie, ma l'aspetto innovativo, che ha anche fruttato all'autore il premio per il miglior contributo originale nella sezione Orizzonti, consiste nel modo in cui Mokri ha scelto di raccontare la storia: attraverso un unico lunghissimo (134 minuti) piano sequenza.
Grazie alle possibilità offerte dal digitale, senza stacchi di montaggio, la macchina da presa segue via via i vari personaggi, gli studenti, i cuochi e due strani gemelli vestiti di rosso, privi l'uno del braccio destro e l'altro del sinistro, che si spostano dal ristorante al bosco, al campeggio... in un movimento circolare, che sembra circoscriverli all'interno di un ambiente minaccioso, dal quale non possono uscire. Se gli aquiloni, al contrario evocano un'idea di libertà, il film esce dai confini ristretti del genere e può essere letto come una metafora di un paese che fagocita i propri giovani, tarpandone le ali. Apparentemente la macchina da presa, che insegue gli spostamenti dei personaggi, attraverso il movimento nello spazio, crea anche uno sviluppo temporale progressivo della vicenda, in realtà, man mano che questa procede, lo spettatore avverte delle incongruenze temporali, che fanno sì che la storia sembri avvitarsi su se stessa.
La sfida messa in campo da Mokri consiste infatti nel tentativo di usare il piano sequenza non per produrre un effetto di realtà, ma al contrario per rendere irreale ciò che viene ripreso, rompendo la coincidenza tra piano spaziale e piano temporale, attraverso l'introduzione di fessure temporali, che spostano le vicende, pur nella continuità della ripresa, avanti e indietro nel tempo. Ce ne accorgiamo in quei momenti in cui le parole di alcuni personaggi vengono ripetute a distanza, come se fossero ascoltate da un'angolatura auditiva diversa, ma che ci rivelano come il tempo, nonostante la continuità del piano sequenza, sia tornato con un salto indietro. La ragazza vestita di rosso, sdraiata sotto un albero con uno dei cuochi che sta per ucciderla, nell'ultima sequenza, è forse già morta, è un fantasma che rivede se stessa e ci racconta con la forza delle parole ciò che non vedremo. Un lavoro quindi sullo spazio, ma soprattutto sul tempo: un tentativo di sconvolgere l'idea di uno sviluppo progressivo, che è intrinseco all'inquadratura.

L'effetto cercato da Mokri è quello di far muovere i personaggi, come in un quadro di Escher, in cui non si capisce chi sta salendo e chi sta scendendo le scale, in una sorta di lotta contro il tempo, dentro il tempo, che finisce per mettere in discussione il concetto stesso di tempo.
È sicuramente apprezzabile la volontà di sperimentare nuove possibilità espressive in uno dei più discussi codici linguistici del cinema, come il piano sequenza, e l'esperimento si può dire in buona parte riuscito, anche se, come sempre quando si fanno scelte così radicali, si rischia di spostare l'attenzione dello spettatore su un unico aspetto, a scapito di quello che è il senso complessivo di un film comunque coinvolgente e interessante.

Cristina Menegolli - ottobre 2013 - pubblicato su MCmagazine 35

1 Nel suo primo film Ashkan, the Charmed Ring and other Stories raccontava di una rapina orchestrata da due ciechi e da un aspirante suicida
2 Uno dei cuochi è interpretato da Babak Karimi, interprete di Una separazione