L'ispirazione per questo le è venuta dall'esperienza del fratello Sven, protagonista della scena house francese, ma nei film di Mia Hansen-Løve la componente personale è sempre un riferimento forte; dall'esordio con Tout est pardonné, nel 2007, che ha rivelato il talento della giovane regista francese, oggi poco più che trentenne, prima critica per i Cahiers du cinéma e poi attrice nel film di Olivier Assayas (Fine agosto, inizio settembre) divenuto il suo compagno di vita. E questo mettersi in gioco mai esplicito, che predilige le zone d'ombra, il flusso sensibile delle esperienze, lo ritroviamo anche nel precedente Un amour de jeunesse, nella cui protagonista si possono rintracciare affinità con la regista, o in Le père de mon enfant ispirato alla figura del produttore francese Hubert Balsan, morto suicida, che però sposta la narrazione su chi è rimasto dopo la sua scomparsa, la moglie (era una intensa Chiara Caselli), i figli. Ecco lo spostamento dal sé a un universo emozionale di intimità «condivisa» è quello che rende i film di Mia Hansen-Løve qualcosa di più, e anche di molto diverso del racconto alla prima persona, o dall'autofinzione. È la dimensione letteraria che cerca questa cineasta dall'aspetto minuto per filtrare l'esperienza, il vissuto che cosa riflettono la loro epoca e un sentimento collettivo. (...) Gli anni Novanta della scena house francese con i Daft Punk che Mia Hansen-Løve «decaschizza» pure se le facce di Thomas e Guy Man sembrano dire poco, al punto che rimangono fuori dalla discoteca mentre la loro musica passa ovunque - la scena è molto divertente - sono l'epoca, ma Eden non è un film su questo. L'aria dei tempi appare infatti più un «pretesto» per scrivere un nuovo romanzo di formazione, la storia di una giovinezza, e il cosiddetto passaggio all'età adulta, e come accadeva nell'Aprés Mai di Assayas - a cui Hansen-Løve guarda e dal quale ha preso il protagonista, e anche il molto bravo Hugo Canzelmann nel ruolo del suo socio - il senso di un periodo affiora in una serie di esperienze individuali. Lì era il Sessantotto, qui gli anni Novanta quando i ragazzi girano in taxi e non prendono mai nemmeno il metrò. In questa lente notturna, punteggiata di attori come Laura Smet, Vincent Macaigne, Greta Gerwig, i personaggi oscillano tra «l'euforia e la malinconia» e la fragilità di un: «Please tell me who I am» (Daft Punk). La sfida è importante, e Mia Hansen-Løve è brava, penso solo alle scene in discoteca o di festa - in Italia non hanno ancora capito come si fanno. O al rapporto tutto di non-detto tra i personaggi, bloccato sulla superfice scatenata che non ammette paura. Ciò che funziona meno è quell'eccesso di distanza narrativa quasi una freddezza che non è solo l'incorporeo del mondo narrato - il sesso c'è ma non si vede mai - ma sembra essere la posizione della regista (la sorella del protagonista che non vediamo mai). Nel corpo a corpo con la scrittura (non solo la poesia che «salva» il personaggio) l'immagine fatica a trovare una sua libertà, a muoversi fuori da un che di programmatico, da un «vero» della vita che ha sempre qualche balza in più. |
Cristina Piccino - Il Manifesto |
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Negli anni Novanta, la musica elettronica francese si è sviluppata a un ritmo velocissimo dando vita al movimento chiamato "French touch". Ed è in quel periodo che Paul fa il suo ingresso nel mondo dei DJ: insieme al suo migliore amico, infatti, crea il duo chiamato "Cheers" che improvvisamente si fa apprezzare dal pubblico dei locali parigini. Tuttavia, l'euforia per la loro ascesa nell'Olimpo della musica sarà di breve durata... È la ricchezza della dimensione letteraria ciò che fa brillare un film come Eden, facendo da filtro all'esperienza vissuta, non fermandosi al racconto "in prima persona" ma elaborando il riflesso di un'epoca, di un sentimento collettivo e trasformando quell'esperienza in un universo emozionale di intimità «condivisa». |