Henryk
Goldzmitt prosegue la sua opera di assistenza agli orfani di Varsavia
anche dopo che i nazisti, in quanto ebreo, l'hanno chiuso nel ghetto;
accompagnerà i suoi bambini nel campo di sterminio di Treblinka. Commosso
e spesso toccante, girato con compostezza quasi anacronistica, nel rifiuto
di ogni lusinga spettacolare. Un tipo di cinema che forse non si fa più,
ma che ogni tanto è bene recuperare. Fondamentale il bianco e nero sporco
della fotografia di Robby Muller.
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I
recenti demenziali soprassalti antisemiti vanno esorcizzati anche col
cinema. L'ottima occasione ci è offerta dall'arrivo del
dottor Korczak,
firmato da un maestro dello schermo, il polacco Andrzej Wajda, che preso
dalla politica e dal teatro negli ultimi anni si è meno dedicato ai film,
ma la cui maestria resta intatta. Intitolato a una figura emblematica
dell'Olocausto, il film
scritto da Agnieszka Holland e interpretato dal
bravissimo Wojtek Pszoniak, rievoca gli ultimi quattro anni di un uomo per
molti versi eccezionale: il pediatra ebreo, votatosi alla causa dei
bambini, che dopo aver rivendicato il diritto dei piccoli a sperimentare
le nozioni di libertà e giustizia, perseguitato dai nazisti restò nel
ghetto di Varsavia insieme a duecento orfanelli, persuaso che la loro
innocenza
li avrebbe risparmiati. I tedeschi (e la Germania, nel 1990, è stata fra i
produttori del film) non ebbero invece pietà:
insieme a Korczak deportarono a Treblinka tutti i bambini, e li gassarono. Delitto
orrendo, e film straziante.
In bianco e nero per restare più vicino all'epoca, e con molti echi
neorealistici, l'opera ha più i caratteri d'un omaggio alla memoria di un
martire che non i segni della biografia storica. Ma, con le profanazioni
di cui oggi siamo testimoni nei confronti degli ebrei, non ci sentiamo di
rimproverare Wajda se, lasciando quasi del tutto in ombra il pensiero e la
metodologia pedagogica diffusa da Korczak negli anni Trenta, quando
insegnava all'università e dirigeva l'Orfanotrofio di Varsavia, il film
inclina verso l'agiografia. Abbiamo bisogno di esempi d'altruismo più che
di maestri di dottrina. Con la sua struttura classica, esso è del resto
ammirevole per l'adoperarsi del protagonista in favore dei bambini
affamati mentre le belve hitleriane sparano su chi vuole aiutarli, desta
interesse il modo con cui si allude al comportamento della comunità
ebraica, suscita commozione il fiorire di teneri amori fra adolescenti, né
dispiace che per rispetto del vero si accenni anche a episodi poco
lusinghieri. |
È
assai triste constatare che
Il dottor Korczak
possa uscire in Italia, e in modo così defilato, a più di due anni di
distanza dalla presentazione in concorso a Cannes. In un paese serio, un
simile film sarebbe già passato in tv con tanto di dibattito allegato, ma
tant'è. A Cannes, nel maggio del 90, il film fece un'impressione
fortissima perché proprio in quei giorni era avvenuta la profanazione
delle tombe ebree nel cimitero di Carpentras. Era solo una delle prime
manifestazioni di un orrore che oggi è, fra noi, quasi quotidiano. Il film
di Wajda (uno dei migliori di questo regista, sicuramente il migliore
dall'Uomo di marmo,del
1977, in poi) sembrò un drammatico commento "in diretta" a quel gesto
barbaro. E, anche, un messaggio di speranza, che rimane sempre valido.
In breve:
Dottor Korczak
si ispira alla figura storica di Henryk
Goldszmit, un personaggio che in Polonia è un eroe nazionale (il copione è
di Agnieszka Holland, la regista che avrebbe poi girato un film,
altrettanto forte, sul "tema ebreo":
Europa Europa). Ebreo, medico, maestro di
scuola, pedagogo, scrittore con lo pseudonimo di Jànus Kotczak, Goldszmit
aveva fondato a Varsavia, negli anni precedenti la guerra, la Casa degli
orfani, in cui ospitava ed educava 200 trovatelli. Dopo l'occupazione
nazista, Korczak fu costretto a trasferire nel Ghetto tutti i suoi
bambini. Korczak era un intellettuale piuttosto noto, aveva mezzi e amici
influenti: la storia e il film dicono che avrebbe potuto fuggire, se
avesse voluto. Ma non volle. Seguì i bambini nel Ghetto. Li seguì anche
quando i nazisti li caricarono su un treno piombato la cui ultima fermata
era Treblinka. Morì là, nei forni del lager, assieme ai suoi trovatelli.
E' straordinario il modo in cui Wajda rievoca la vita del Ghetto,
ricostruito ("Senza grandi sforzi", dice amaramente il regista) in
un quartiere operaio di Varsavia: è un tema che si ricollega ai primi film
di Wajda ai bellissimi
Generazione
e I dannati di Varsavia.
E' notevolissima la prova, nel ruolo di Korczak, dell'attore Wojtek
Pszoniak. Ed è toccante, quel finale "lieto" come possono esserlo solo i
sogni che arrivano dopo gli incubi. Un film da vedere. |