Domani
andrà meglio
(çaira mieux demain)
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da Il Sole 24 Ore (Roberto Escobar)
Un'apologia della leggerezza, questo è Domani andrà meglio. Leggero non significa superficiale né vuoto. Il film di Jeanne Labrune è profondo quel che basta per avere la saggezza di non darlo a vedere. Ed è anche colmo di passioni, perfidie, slanci, solitudini, richieste d'amore. Insomma è colmo di tutte le minime cose che fanno e che "sono" le nostre vite. Tuttavia, ha la capacità e, ancora, la saggezza di far come se così non fosse. «Domani andrà meglio» sono le parole che chiudono la storia di Sophie (Nathalie Baye) e Xavier (Jean Pierre Daroussin), coniugi presi fra il piacere di dilaniarsi l'un l'altro e quello di ritrovarsi in una tenerezza che gli anni rendono intima e quieta. E' la notte che chiude il venerdì, quinta "tappa" d'una settimana che la sceneggiatura dipana sullo schermo senza preoccuparsi di raccontare una vicenda conclusa, un intreccio coerente. Piuttosto, la narrazione è protagonista per se stessa, per il piacere che sta nel cogliere i fatti della vita e nell'elevarli a parola e racconto. Quanto più quei fatti sono o sembrano minimi, tanto più la magia della narrazione li libera e li incanta, li alleggerisce e li fa volare. Non a caso, prima che Labrune ci racconti il "lunedì" che dà inizio al film, in un piccolo prologo fa capolino l'ironia: Lo fa nel titolo d'un libro che una studentessa di filosofia legge nel metró. A lei, con fare gentile e con parole raffinate, si rivolge un uomo elegante di mezz'età. Anche lui pare sia filosofo, e certo s'intende d'ironia. Se ne intende al punto da usarne gli "strumenti elusivi" a scopo di borseggio. Ossia distrae la ragazza, la lusinga e la deruba. Il prologo per altro non si chiude qui. La sua seconda parte ribalta la prima. Seduta di fianco alla studentessa c'è infatti Marie (Isabelle Carré), più infastidita che interessata. Con un certo disappunto, dopo che l'altra s'è accorta del furto, si alza e si allontana, finendo vicina a un tipo meno elegante del primo e all'apparenza meno affidabile. Scesi dalla vettura, i due scambiano qualche parola e poi l'uomo s'allontana. Di colpo, Marie controlla nella borsa: i suoi soldi non ci sono più. Rincorre affannata il ladro, salvo poi trovarli là dove erano sempre stati, quei soldi "rubati". L'ironia qui è all'opera ben dentro il film, ben dentro la sceneggiatura: con il cinema, Labrune prende le distanze dai suoi personaggi, li osserva, li "elude", ne sorride. Ne sorride, ma certo non li deride. Li assume nel suo racconto con le loro debolezze umane, molto umane, e in tal modo li sottrae alla casualità della vita, ne fa appunto "personaggi" capaci di esserci specchio. E fa tutto questo con leggera semplicità, seguendo un filo esilissimo, un'occasione narrativa già in se stessa ironica. Elisabeth (Jeanne Balibar, bellissima) ha un rapporto conflittuale con un comò lasciatole in eredità dalla madre. Lo vuole (per non lasciarlo alle sorelle) e insieme non lo vuole (forse per lo stesso motivo per cui non lo lascia alle sorelle: era di sua madre). Il compromesso che potrebbe risolvere il conflitto pare sia di metterlo in cantina. Però - come Marie le suggerisce - in cantina rischierebbe d'ammuffire. Dunque, sarà meglio avvolgerlo in un telo di plastica. Solo che qualcun altro la mette in guardia: il legno traspira e nella plastica ammuffirebbe... Occasione da nulla, dunque, scherzo di nessun peso, questo del comò e della plastica. Eppure, attorno a esso e a causa del distacco che ne viene, procede l'ironia sorridente di Domani andrà meglio. I personaggi, i fatti e ancor più i sentimenti sono portati allo scoperto - sono alleggeriti e liberati - proprio solo per il fatto che quel filo narrativo è "tirato" e dipanato con accorta curiosità, "come se" niente stesse accadendo. Invece accade la vita: il gusto raffinato di Eva (Danielle Darrieux, splendida ottantatreenne), l'infelicità isterica di Elisabeth, la (moderata) bulimia di Franck (Didier Bezace), l'arrendevolezza spigolosa di Annie (Sophie Guillemin), la durezza molto "etica" di Marie, e soprattutto l'amore invecchiato di Sophie e Xavier, pronti a dilaniarsi e a ritrovarsi per un nonnulla. Dal lunedì al venerdì, ogni giorno ha la sua miseria, ma anche la sua ricchezza. Gli uomini e le donne di Jeanne Labrune sono liberi, teneri, inconsapevoli protagonisti di se stessi. Ci somigliano, non c'è dubbio. Ci somigliano anche con quel loro «domani andrà meglio» del venerdì sera, una speranza o forse un'illusione. Domani é sabato, dopodomani è domenica: il film non ce ne racconta alcunché. Leggero, lascia che siamo noi a farne o non farne buon uso. Anche questo, questo soprattutto è ironia.
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TORRESINO
febbraio-aprile
2002