La pena di morte , questa sconosciuta. L'impatto
che un film come Dead Man Walking ha sullo spettatore comune è
forse esaltato dalla lontananza del problema per il nostro vivere quotidiano.
Eppure l'urgenza della questione etica legata alla pena capitale è
lacerante in un paese-simbolo come l'America dove ben trentotto stati
l'hanno nel loro ordinamento giuridico con oltre tremila condannati in
attesa dell'esecuzione. La scelta narrativa di Tim Robbins, attore di
rango, qui alla sua seconda regia, parte da un'esperienza vissuta (e dal
libro) di suor Helen Prejean, trovatasi a far da assistente spirituale
nel braccio della morte e, in parallelo, da un sentito impegno civile
che ha una sua ricca tradizione nel cinema USA. La novità sta nel
presentare una situazione di cinica colpevolezza non necessariamente contestabile
(si intuisce ben presto che l'antipatico Sean Penn non troverà
appigli per evitare la sua condanna) ed in una imparzialità contestuale
che argomenta con mirata partecipazione sia la solidarietà "redentiva"
di Susan Sarandon (splendida, meritatamente premiata con l'oscar)
verso il truce assassino, sia il rancore caustico e "umano"
dei disperati parenti delle vittime che vedono nell'esecuzione del "mostro"
il placarsi liberatorio del loro dolore.
All'uno
e agli altri Suor Helen dispensa la sua accorata carità e una tensione
spirituale che solo nella ricerca profonda della verità può
rendere davvero liberi. Se l'approccio di Robbins è squisitamente
cristiano (il riferimento biblico è costante e coerente), il suo
taglio cinematografico è coraggiosamente asciutto e rigoroso. L'impressione
di realtà che sa conferire al proprio lavoro filmico è straordinaria,
dapprima distaccata e cronachistica, in crescendo di sofferenza e commozione
(vera) quando la macchina di morte della giustizia si mette inesorabilmente
in moto. Dead Man Walking riesce a non sposare una causa, ma a
denunciare il dramma di una società che lascia spazi assurdi all'intrusione
illecita della morte: che si tratti di efferati delitti o di perfetti
meccanismi di vendetta istituzionalizzata, il black-out della vita è
un azzardo di illogica barbarie.
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