da La Stampa (Lietta Tornabuoni) |
In una campagna luminosa, non lontano da Tbilissi capitale della Georgia, tra i colori trasparenti e delicati dell'estate russa, un amico cinquanta-sessantenne cerca di spiegare a una ragazza: «Non devi prendertela con tua madre. Abbiamo vissuto nella menzogna tutta la vita, e credevamo fosse la felicità. Quando ci hanno detto ”la ricreazione è finita”, ormai era troppo tardi». Ma alla ragazza venticinquenne non importa nulla del comunismo, mentre sua madre odia Stalin come un feroce assassino e la sua vecchia nonna lo rimpiange, «era davvero un grand'uomo». Le tre donne di tre diverse generazioni sono le protagoniste di Da quando Otar è partito, bello, sensibile, intelligente, diretto dalla regista francese Julie Bertuccelli che è stata per qualche tempo assistente di Otar Iosseliani e da lui ha imparato a conoscere la Georgia con i suoi umori, i suoi guai, la sua bellezza leggera: il film racconta anche un'atmosfera georgiana post-sovietica devitalizzata e degradata, un legame russo-francese, un'adorazione delle madri ingiuste per i figli maschi, una malinconia dei sentimenti senza futuro. La piccola famiglia femminile vive in una casa grande ma cadente. Spesso mancano la luce, l'acqua («in questo Paese nulla funziona»). Negli scaffali, tanti libri francesi testimoniano d'un passato culturalmente migliore: sono l'unica cosa che non sia ancora stata venduta, la sopravvivenza misera è affidata ai baratti e alle compravendite di oggetti del mercato dell'usato. Qualche soldo, ogni tanto, arriva da Parigi, dove è emigrato il figlio-fratello-zio Otar, medico. La madre lo ama appassionatamente, tira avanti soltanto per le sue lettere, le telefonate. Quando Otar muore in un incidente, figlia e nipote non hanno il coraggio di dare la notizia alla vecchia che è malata di cuore. Ma lei assolutamente vuol rivedere il figlio prima di morire. In un sussulto d'energia vende i libri, ottiene i visti, organizza per tutte e tre un viaggio a Parigi che avrà molte conseguenze. Attrici magnifiche: soprattutto Esther Gorintin, quasi novantenne, recita con grande bravura il suo personaggio patetico, odioso e ammirevole. Finezza psicologica, delicatezza d'analisi cechoviana, una grazia ironica e insieme compassionevole (per le donne, per la Russia, per la vita) danno al film una qualità semplice e rara. |
i giovedì del cinema invisibile TORRESINO febbraio-aprile 2004