da L'Unità (Dario Zonta) |
Ogni tanto, dalle cinematografie meno conosciute arrivano film veri e intensi, che ci ricordano quanto le storie di vite comuni, e possibili, possano essere coinvolgenti. Una cosa chiamata felicità del regista ceco Bohdan Slama coglie questa dimensione e ci conduce nel mondo dolente di un quartiere popolare di una piccola città industriale della Repubblica Ceca. Tre giovani fanno esperienza del diventare adulti: Monika ha un fidanzato intraprendente che decide di emigrare negli Stati Uniti, Tonik, innamorato di Monika sin da bambino, vive con la zia in una fattoria fatiscente e Dasha soffre di disturbi del comportamento, di cui sono vittime i due piccoli figli. Ognuno di loro proietta nell'altro un'aspettativa non dichiarata. Si aiutano, litigano, si amano, fanno progetti, li disfano... cercano di crescere a dispetto del mondo. […] Questo è il cinema che ci piace: quello che lavora nelle contraddizioni. I temi universali di Una cosa chiamata felicità vengono calati nella vita contemporanea della Repubblica Ceca. Non vorremmo essere banali, anche se il cinema d'oggi ci mette in questo imbarazzo, ma quanti film nel corso di un anno ci permettono di fare un viaggio particolare dentro realtà vicine e completamente sconosciute? Bohdan Slama racconta quello che vede, quello che ha sotto gli occhi, senza edulcorazioni. Cammina dritto per la sua strada, facendosi interprete e narratore. Con una regia semplice, ma empatica, traduce le emozioni in immagini schiette e dirette. Non ricerca l'effetto, ma scova nelle situazioni il vero, quando anche la poesia. Ogni tanto al cinema viene da piangere innanzi a scene non esplicitamente commoventi, ma semplicemente vere. Ci si perde e ci si ritrova, in un lapsus psicologico. Capita di rado di perdersi al cinema, di non sapere più dove è l'uscita quando si accendono le luci... |
da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro) |
Cieli bigi della provincia, tristizie morali e materiali della repubblica ceca, ritratto di gruppo di cui si offre una definizione doc.: «Abbiamo un talento speciale per trasformare la vita in un inferno». Uno prende al lazo il sogno americano e parte, gli altri restano cecovianamente a sperare: un bravo ragazzo va a vivere con la zia e restaura una fattoria con l’amica dei cuore e due bambini - che come sempre ci guardano - di una donna ingrata e fuori di testa. Titolo metafora, persone che attraversano la giovinezza nella mutazione sociale post ideali: il vecchio e il nuovo, frigo vuoti e idromassaggi, panni stesi e telecamere, zuppe e sesso orale in montacarichi. Premiato qua e là nei festival, il film di Bohdan Slama cerca l’amore come un rabdomante appassionato, con rigore drammatico e attori bravi e sofferenti. |
da La Stampa (Lietta Tornabuoni) |
In
una piccola città céca di macerie e relitti, di case senza energia
elettrica, di tetti che lasciano passare la pioggia, di supermercatini
dagli scaffali vuoti, di fabbriche abbandonate, di regali natalizi miseri,
ubriachezze tristi e vecchi che ballano, «La gente riesce a trasformare la
propria vita in un inferno, abbiamo un talento speciale per farlo», dice
un emigrato in America. Il secondo film del regista céco Bodhan Slama,
Una cosa chiamata felicità
(il titolo originale, Stetsi, felicità, ha l'asprezza sarcastica di
Happiness
di Todd Solondz) rivela un'estrema sensibilità e una vera maestria nella
direzione degli attori. |
i giovedì del cinema invisibile TORRESINO ottobre-dicembre 2006
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