Tre appartamenti in un palazzone cadente. Tre incontri stravaganti fino alla meraviglia. Tre amori castissimi e quasi magici, nel senso di quel 'realismo magico' che fece grande il cinema francese anni 40. (...) È l'inclassificabile, imprevedibile, imperdibile Asphalte, da noi Il condominio dei cuori infranti (...). La risposta francese a Lo chiamavano Jeeg Robot, verrebbe da dire, se il film di Benchetrit non fosse uscito in Francia mentre Mainetti doveva ancora girare il suo. Anche i toni sono lontanissimi, ma comune è il desiderio di non abbandonare le periferie ai luoghi comuni della disperazione. Normale: Benchetrit, figlio di ebrei marocchini, in banlieue ci è nato. E anche se oggi si è «imborghesito», cercava uno sguardo diverso su quei luoghi. (...) Benchetrit tocca corde più intime, e rischiose, con suprema eleganza. (...) Raramente un film ha captato con più grazia l'indicibile. E con più coraggio. |
Fabio Ferzetti - Il Messaggero |
...Il condominio dei cuori infranti (titolo originale Asphalte) è quel film che nasce piccolo, cresce piccolo, ma infine si ritrova grande sullo schermo: non per aderenza alla realtà, perché il registro è volutamente surreale, ma per aspirazione alla verità, la verità dei rapporti umani. Non ci sono pletoriche volontà sociologiche e mancano affondi di critica sociale, perché alla denuncia e l'impegno civile Benchetrit, anche misurato sceneggiatore, preferisce l'apologo umanista, pur mantenendo i piedi ben piantati a terra (...). Dalla sua raccolta di racconti Cronache dall'asfalto (Neri Pozza), dunque, lo spirito della periferia è condensato in un palazzone, un ascensore guasto e sei personaggi in cerca dell'autore principe, la vita, e nella vita la famosa seconda possibilità. Lo sappiamo, il condominio è luogo cinematografico per eccellenza, congeniale - nel suo essere montaggio di appartamenti-inquadrature - alla grammatica stilistica e alla sintassi poetica: un simile palazzone potrebbe ben ospitare l'apocalittica selezione della specie di Delicatessen (regia di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro, 1991) oppure far da quinta al riscatto-parkour di Banlieue 13 (Pierre Morel, 2004), al contrario, Asphalte rifiuta le geolocalizzazioni e la spiccia adesione al genere per farsi paradigma della 'grande capacità di recupero degli abitanti delle periferie'. (...) Sei solitudini, tre incontri, una promessa di felicità: il grande cinema non ha bisogno di molti ingredienti, ma della ricetta giusta, e Benchetrit, scrittore, attore, regista e drammaturgo, ce l'ha. La quadratura - le immagini sono quasi quadrate - del cerchio sta nella suggestione, nell'evocazione, ovvero nella ritrosia: questo 'Condominio' non alberga stolide certezze, non alloggia 'happy ending' a equo canone, si limita a suggerire la speranza. E lo fa con una sorta di realismo magico inclusivo e universale, memore della lezione zavattiniana, non estraneo alle geometrie esistenziali di Aki Kaurismäki: anche i cuori infranti, quelli dei perdenti e degli ultimi, battono. Aiutano attori come questi: empatici, perfetti - dalla chirurgica Huppert all'indovinato Pitt, passando per la bella scoperta Jules Benchetrit - nella loro esibita inadeguatezza, nella loro irredimibile umanità. Da vedere. |
Federico Pontiggia - Il Fatto Quotidiano |
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Un palazzo di periferia in una anonima cittadina francese. Un ascensore in panne. Tre incontri improbabili. Sei personaggi insoliti. L'aspirante fotografo Sternkowitz e l'infermiera, l'attrice in pensione Jeanne, il giovane Charly, l'astronauta McKenzie e la signora Hamida. Dei solitari che si troveranno uniti da un grande sentimento di tenerezza, rispetto, compassione. Il senso dell'assurdo che caratterizza le situazioni collocano il film in una sfera di umorismo nordico che bene si addice al cielo plumbeo dell'Alsazia, dove è stato girato. Chi ama Kaurismäki si troverà a suo agio, anche se lo sguardo è meno metafisico. Un film di emozioni distillate, una salutare evasione dalla ansie e dalle tragedie della cronaca. |