da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Se avessimo a disposizione un solo aggettivo per definire Che ora è laggiù?, film taiwanese di Tsai Ming-Liang , sceglieremmo "fluido". Raccontato attraverso lunghi piani fissi e gesti quotidiani, quello del cineasta d'origine malese è un universo che scorre, un flusso che lega situazioni e personaggi molto distanti oltre le leggi del tempo e dello spazio. Il tutto accade a partire da storie di gente sola. Il film racconta due solitudini parallele: quella di un giovane venditore di orologi di Taipei; e quella di una graziosa ragazza cinese, appena partita per Parigi, che ha comprato non uno degli orologi, ma l'orologio personale del ragazzo. Perseguitato dal ricordo di lei, appena intravista, lui sente la differenza di fusi orari e comincia a regolare tutti gli apparecchi per segnare il tempo sull'ora di Parigi, sperando in tal modo di sentirsela più vicina. Per lo stesso motivo compra la cassetta dei Quattrocento colpi: così il regista può farci rivedere alcune sequenze del suo film preferito con Jean-Pierre Léaud. Frattanto, nella capitale europea in cui sognava di andare, la fanciulla è spaesata, trova immangiabile il cibo, incomprensibili gli avvisi del métro. A Parigi o a Taipei, Tsai Ming-liang mostra la solitudine come un fato che incombe su tutti. La regia organizza la percezione di un altro mondo, laterale alla realtà, e di altri rapporti, diversi da quelli che siamo abituati a concepire. Così nessuno scompare mai veramente, nessuno se ne va sul serio: ci si sposta, semplicemente, poiché "tutto scorre". Di straordinario, in questo piccolo capolavoro, c'è soprattutto la capacità di esprimere un'idea dell'esistenza con mezzi eleganti, con comicità e una dose di poesia di cui la memoria dello spettatore conserva a lungo le tracce. |
da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro) |
Momento magico per il cinema orientale. Dopo le emozioni mistiche di Samsara di Pan Nalin, sugli scenari del Tibet, fra le tentazioni dell'anima e quelle della carne (lo scoop è che vincono le prime), ecco da Cannes 2001 Che ora è laggiù? del maestro taiwanese Tsai Ming-Liang, autore di film bellissimi e provocatori come Vive l'amour, Il fiume e The Hole. Anche quest'ultimo richiede la massima partecipazione dello spettatore: lunghi piani sequenza, finché la nostra mente non è entrata dentro l'interiorità della sequenza, personaggi in bilico sul loro destino, la desolazione quotidiana del «made in Taipei», la casualità dei rapporti umani che si fanno esi disfano. Si potrebbe dire: niente di nuovo sul fronte dell'esistenzialismo. Ma questo regista, sotto l'influenza di Antonioni, ha uno stile meravigliosamente personale e coinvolgente nell'esprimere l'inesprimibile delle nostre contraddizioni. A Taipei un ragazzo che vende orologi, ne cede uno regalatogli dal padre appena morto a una ragazza che sta per partire per Parigi, mentre egli resta a casa con la madre sconvolta dal lutto, che vede ovunque la reincarnazione del marito: ma il fuso orario di Parigi diventa per lui un incubo. E' un cinema che si distende in una dimensione diversa del tempo e dello spazio, con pochi movimenti, niente musica, molti silenzi, tante sospensioni del reale e solo i rumori che vengono da dentro. Citato Truffaut con un pezzo dei 400 colpi e una comparsata di Jean Pierre Léaud: pur non così perfettamente riuscito come i suoi altri, Che ora è laggiù? s'inerpica con meraviglia sulla strada più difficile dell'espressione: ed è un piacere (in)seguirlo. |
LUX - giugno 2002