Certi bambini
Andrea e Antonio Frazzi - Italia 2004 - 1h 34'


sito ufficiale

da La Repubblica (Paolo D'agostini)

      Dopo Il cielo cade i registi Andrea e Antonio Frazzi tornano a far proprio un punto di vista infantile ricorrendo al romanzo premio Campiello di Diego De Silva "Certi bambini". La personalità di Rosario, il protagonista di undici anni sepolto nel nulla di una metropoli del sud che è Napoli ma non viene detto e potrebbe essere pure Bogotà o Bangkok, vive una condizione sdoppiata senza ombra di un ordine e di una consapevolezza morali, in modo mostruosamente naturale. Rosario è il bambino che si prende affettuosamente cura della nonna con cui vive in un caseggiato popolare e che frequenta da volontario un centro d'accoglienza per ragazze madri dove Santino gli fa da modello positivo e dove conosce precocemente l'innamoramento per la temperamentosa Caterina. E Rosario è sempre lo stesso bambino che in altre ore bazzica una schifosa sala giochi e un orrendo fast food, beve, fuma, dice le peggiori cose e maneggia armi, che la natura ha messo al comando di una banda di ragazzini come lui alla testa dei quali gioca con la morte attraversando di notte la tangenziale, che passa dai piccoli furti agli ordini di un minuscolo camorrista da strapazzo all'apprendistato della criminalità assassina. Tutto questo "film" scorre davanti a nostri occhi come davanti a quelli di Rosario durante un viaggio in metropolitana che dura per tutta la narrazione, e che lo sta conducendo, innocentemente vestito come per andare a giocare a pallone, alla prova del fuoco. In linea con una visione cattivista senza speranza di riscatto o recupero, in sostanza di condanna senza appello per una Napoli cara ma irrimediabilmente corrotta e condannata - ma per colpa e responsabilità di chi, verrebbe voglia di chiedere, saranno state pure delle singole responsabilità umane a creare questo baratro, non può essere una fatalità - l'occhio di questa storia offre però uno spaccato tutt'altro che banale della doppiezza con la quale ci si può facilmente addestrare a convivere se in tenera età manca ogni cognizione etica, di bene e di male. L'amore (la nonna, Caterina, l'esempio di Santino) porta al bene altrettanto ovviamente e senza conflitto né contraddizione di come la legge della strada, della sopraffazione, del prendersi ciò che si può prendere conduce a fare e farsi del male. I Frazzi mettono in scena tutto questo (grazie a una buona scrittura e a interpreti intonati, e tra i tanti si segnala l'ottimo Rolando Ravello, uno dei ragazzi volontari della comunità) con una sensibilità che forse non sarebbe dispiaciuta al Louis Malle di Lacombe Lucien.

da Il Sole 24 ore (Luigi Paini)

     Certi bambini non sono mai davvero bambini. Prendiamo Rosario, il piccolo protagonista del film di Andrea e Antonio Frazzi che si intitola proprio così, Certi bambini. Vive in una città del Sud, una metropoli facilmente identificabile con Napoli (dov'è stata girata la maggior parte delle sequenze) ma che allo stesso tempo può essere una qualsiasi città-metastasi del Mezzogiorno del mondo. Passa la giornata sfidando la morte insieme ai suoi giovanissimi compagni-compari, trascorrendo le ore tra piccoli scippi e sale giochi piene di personaggi equivoci. Non ha nessuno vicino in grado di dargli davvero una mano, aiutarlo a crescere, toglierlo da un destino che pare inesorabilmente segnato. Ma Certi Bambini non é una semplice pellicola di denuncia sociale, un urlo in più contro il degrado e il malessere delle periferie diseredate. É un lento, insinuante scavo nella psicologia di un perdente, la fenomenologica rappresentazione di un dolore di vivere che supera la dimensione puramente sociologica. Rosario e i suoi amici sono soli, svuotati, ansiosi di ricevere tenerezza e amore, mentre in realtà vengono imbottiti, giorno dopo giorno, da modelli negativi, desideri di rivalsa, ideologia "machista" gretta e violenta. L'elemento femminile, che potrebbe forse contrastare il trionfo della Morte, é sì presente, ma solo sullo sfondo, come orizzonte e occasione mancata. La vecchia nonna svampita, tanto dolce quanto dolorosamente già perduta; la giovane ragazza-madre conosciuta in un centro di accoglienza e subito desiderata e amata. A tenere insieme il vortice dei ricordi e delle emozioni è un lungo viaggio in metropolitana, che Rosario compie per tutta la durata del racconto. Verso dove? Lo si scopre solo alla fine, al culmine di un sapiente crescendo emotivo. Perché il cinema vero dà emozioni, e Certi bambini é, semplicemente, cinema vero.

da Il Sole 24 ore (Roberto Escobar)

     Ritorna Alle loro spalle ci sono i colori di un mare intatto e silenzioso. Sopra di loro incombe una scogliera grigia, alta come una minaccia. Di sasso in sasso, i quattro ragazzini ci si arrampicano su, verso una meta che ancora non si vede. Poi, sul confine tra il silenzio del mare e un fragore di automobili, la macchina da presa attraversa una linea fitta di canne. Appena al di là c'è l'autostrada. Cosi, con un montaggio incalzante e netto, inizia "Certi bambini" (Italia, 2004, 94'). Ora, dunque, i ragazzini si fermano ai bordi di quell'inferno, e lo osservano con una spavalderia che contrasta con la loro "inadeguatezza". Non sono niente, a confronto del mostro che hanno davanti. Allora, per vincerne la paura, uno di loro lancia la sfida: attraversare di corsa, alla cieca e andare comunque dall'altra parte, nonostante il pericolo mortale. E qui, raccontando per cenni la follia di una paura che si finge coraggio, i fratelli Andrea e Antonio Frazzi ci portano ben dentro il paradosso tragico di questo film doloroso, ben dentro lo spreco di vita che incombe sul futuro di "certi bambini". Uno spreco di futuro e di vita è certo la storia di Rosario (Gianluca Di Gennaro). A 11 anni non ha più diritto d'esserlo, bambino. Non ha più diritto alla tenerezza, né a quella di cui avrebbe bisogno, né a quella con cui si occupa della donna (Nuccia Fumo). Quanto al diritto d'avere un padre, il suo posto é preso da Casaluce, un orrido, infame ometto di mezz'età (Sergio Solli), che vive appunto derubando di vita e di futuro un gruppetto di ragazzini, sfruttandoli e violentandoli nel corpo e ancor più nell'anima. Tratto da un libro di Diego Da Silva (che del film è anche cosceneggiatore), "Certi bambini" indica solo sullo sfondo il contesto sociale e morale che condanna Rosario e gli altri. Si tratta della miseria che cresce dentro una città splendida e sfortunata, ricca d'umanità e però troppo a lungo abbandonata alla prepotenza e alla paura. La si vede, questa Napoli disperata, più nei particolari che nell'insieme: nella povertà dei vicoli, nella desolazione di capannoni industriali ormai cadenti, nello squallore delle macerie e dei rifiuti che la assediano e la intristiscono. Ma l'interesse primo degli autori non é rivolto al dolore che sta attorno a Rosario, al mondo che appunto lo condanna. Ben più importante, ben più doloroso ai loro occhi e ai nostri è quello che gli si muove dentro, nella testa e nell'anima. Per una sua gran parte, il film dei fratelli Frazzi è raccontato seguendo le linee della memoria di Rosario, e anzi proprio il flusso della sua coscienza. Salito in metropolitana con una pistola nascosta nella borsa gialla dove tiene quel che gli serve per giocare a pallone, il ragazzino sta andando verso un luogo e una meta ben più incombenti della scogliera su cui il film si è aperto. In platea noi ne intuiamo la natura, ne sospettiamo il senso definitivo. Fra qualche decina di minuti, al termine di un viaggio che lo porta dalla miseria dei vicoli fino nel cuore finanziario della città, Rosario non avrà più scelta. Il suo futuro sarà deciso per sempre, e sarà violento e irreversibile come un colpo sparato addosso a un essere umano, mentre lo si guarda negli occhi senza più tremare. Del flusso della coscienza, "Certi bambini" riproduce il movimento per linee spezzate e ricurve, il sovrapporsi di presente e passato, l'intrecciarsi di sensazioni dell'attimo e immagini che emergono dalla memoria. Noi conosciamo la storia di Rosario solo così, attraverso la sua esperienza soggettiva del mondo. Cioè: solo attraverso la sensibilità e il mestiere di una sceneggiatura e un montaggio che riescono a darcene l'immediatezza e la verità psicologica. Nel mondo di Rosario, dunque, non ci sono modelli e non c'è ordine che non siano quelli della paura e della risposta immediata e spavalda alla paura. Nella totale assenza di una dimensione pubblica e istituzionale, dominano comportamenti e valori virilistici che finiscono per esaltare la morte. Poco importa che si tratti della morte propria o della morte degli altri. Importa che sia negata la vita, cioè la sua bella complessità, la molteplicità dei suoi casi e dei suoi rapporti. E infatti tutto - amore, denaro, potere - si risolve nell'atto d'imporsi all'altro, negando lui e così negando la complessità del rapporto con lui. Come a Rosario dice il criminale che gli insegna a sparare, tutto si riduce al "coraggio" idiota di guardare l'altro negli occhi, mentre lo si uccide. È così che per "certi bambini", diventa destino la scelta folle raccontata all'inizio del film: attraversare a vita con una spavalderia impaurita che esalta la morte, e che li deruba d'ogni futuro.

i  lunedì del  LUX   ottobre-dicembre 2004
infanzia violata