C'è post@ per
te
(You've Got Mail)
Nora Ephron - USA 1998
- 1h 59' |
...Chiudiamo questa
parentesi cinematografica a cavallo delle feste con due commedie americane
"doc": il bianco e nero radical-chic del nevrotico (e "piccante")
Woody Allen e il coloratissimo, romanticissimo, maxi-remake di Nora
Ephron. Cominciamo da quest'ultimo,
C'è post@ per te,
che, una volta tanto avrebbe potuto benissimo mantenere il titolo originale
You've Got Mail, frase ormai entrata nello slang del popolo informatizzato
di internet e delle e-mail. I protagonisti, Kathleen e Joe (Meg Ryan
e Tom Hanks) si
amano come sconosciuti corrispondenti di posta elettronica, senza sapere
che lui (NY152) è proprio l'odiato capitalista della catena di book-store
che sta annientando la piccola bottega di libri dietro l'angolo. gestita
da Kathleen (Shopgirl). Il loro incontrarsi di persona è inesorabilmente
osteggiato dalla rivalità professionale incombente (Joe ha scoperto
l'identità di lei e si guarda bene dal rivelarle la propria), ma ciò
da modo ai due di liberarsi, narrativamente parlando, dei rispettivi
partner, alla Ryan di vezzeggiarsi con le sue proverbiali, adorabili
mossette, ad Hanks di ribadire la sua compiuta gamma di interprete,
a Nora Ephron di rieditare con aggiornata arguzia la commedia di Ernest
Laszlo già portata sulllo schermo nel 1940 da Ernst Lubitsch (Scrivimi
fermo posta alias The Shop Around the Corner!) e di fare
abilmente il verso a se stessa e al suo precedente Insonnia
d'amore (1993): anche quella una love-story
di equivoci a distanza (lì galeotto era un programma radiofonico), anche
allora cadenzata dal calibratissimo duetto Ryan-Hanks. Amabile e divertente,
anche se alla lunga stucchevole, C'è
post@ per te
sa sciorinare con ineffabile
dolcezza la romanticheria dei
luoghi comuni e giocare con simpatia la carta delle citazioni cinefile,
dei quadretti familiari incrociati, del political-correct ad ampio spettro.
Lui conduce i suoi affari con cinica lealtà, nel confronto di coppia
una misurata tenerezza ha sempre la meglio su asti e tensioni di lavoro,
perfino a livello di sponsorizzazione informatica l'armonia prevale:
Joe usa un personal portatile IBM, tra le mani di Kathleen c'è un corrispondente
Apple-Macintosh… Si può malignare insomma che il riciclaggio narrativo
della Ephron sia sfacciato e furbastro, ma come stupirsi se il pubblico
di ambo i sessi esce rasserenato e premia il film al botteghino?
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ezio leoni - La Difesa del Popolo - 10 gennaio 1999 |
i giovedì del cinema invisibile TORRESINO ottobre-dicembre 2005 |
Nella Manhattan della mondanità brillante e fatua, un giornalista senza troppa fortuna né troppo talento attraversa tutti i riti di passaggio di ogni precario intellettuale secondo Woody Allen: divorzia, intervista attrici, scribacchia un romanzo, si tormenta capricciosamente per la futilità del proprio lavoro, va a vivere con un'agente editoriale bella come una modella, la lascia quando incontra una ninfetta dei teatri off-off, entra ed esce dai party, va a cena all'Elaine, finisce solo e perplesso. Niente di nuovo sotto il cielo (senza sole) di New York, niente di nuovo nel bianco e nero molto nordico di Sven Nykvist, che sguscia la città della lucentezza magica di altri tempi. Celebrity é un film dell'ultimo stile Allen, di costruzione ammirevole nel suo tono affannoso e lievemente onirico, in equilibrio tra amarezza ironica e affondi crudi. Come sempre, Woody gioca al rilancio e al riciclo, con gusto anche perverso. Se Harry a pezzi era una summa (frantumata, appunto, ma appassionata) del suo cinema passato, qui si prendono di peso battute degli anni d'oro, scorticandone lo humour. Judy Davis, moglie appena divorziata del giornalista Kenneth Branagh, non vuole stare nella stanza della sua clinica per borghesi depressi perché dal rubinetto esce l'acqua marrone (come in Manhattan, «ho l'acqua marrone e i topi con i bongo»), ma qui le parole hanno solo un'eco nevrotica. Dopo una sfilata di moda (molto altmaniana!) il giornalista rimorchia la supermodella Charlize Theron, che si dichiara «perversa polimorfa, posso trarre piacere da ogni parte del mio corpo»; esatte parole già sentite in Io e Annie, senza più traccia della tenerezza erotica di allora. Celebrity non parla tanto di celebrità, non ha poi molto da dire sul chiassoso girare a vuoto di una società sovraesposta; quando si concentra sulla questione, come nei dieci minuti di virtuosismo isterico del giovane divo Leonardo di Caprio, produce solo un divertimento un po' tirato. Ma come commedia dei tristi amori ha qualcosa che disturba, qualcosa che incanta, qualcosa che resta. La nostalgia è da tempo diventata per Allen senso panico dell'irrimediabile: così Kenneth Branagh, che dell'attore Allen copia giacche, mutande e balbettii, ritrova i vecchi compagni di liceo, tutti invecchiati, imbolsiti, instupiditi, e si ferma inchiodato dal terrore di essere in qualche modo come loro; e nella scena più divertente e struggente del film la bella editor tradita si porta via il romanzo mai finito del giornalista, in copia unica, e ne sparge al vento i fogli dal ponte del battello che porta i turisti alla Statua della Libertà. Quel che è perduto è perduto per sempre. Ciò che Celebrity racconta si svolge nel tempo di realizzazione di un film, dalle riprese alla sera della prima: "Devi esprimermi la condizione umana", dice il regista alla diva Melanie Griffith che deve attraversare una strada e alzare gli occhi al cielo dove una scia di fumo va scrivendo help, aiuto. Se non proprio sulla condizione umana, Celebrity è comunque un film sul recitare il proprio ruolo in un certo tempo e spazio, mentre le battute buone cominciano e scarseggiare e si intravvede l'angoscia dell'ultima replica; non è splendido ma, in questo senso è ancora una volta un film riuscito.
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Paola Cristalli - Il Resto del Carlino |