da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Il cinema coreano non cessa di stupire. Non che Bittersweet Life sia un'opera, innovativa, il genere di film che inaugura un'era: però è una fantastica alchimia di noir e mélo fiammeggiante, il cui regista dimostra di aver benissimo assimilato e fatto sua la lezione di maestri del genere occidentali come Jean-Pierre Melville (FrankCostello faccia d'angelo) o Brian DePalma (Scarface). Direttore di un hotel di Seul, con annesso bar denominato "La dolce vita", Sunwoo è anche il braccio destro di Kang, un potente capo mafioso; il quale gli dà ordine di sorvegliare la moglie, che sospetta di tradimento. Lui ha la sventura d'innamorarsi della bella, il che lo pone al centro di un dilemma mortale: incapace di uccidere la donna, pur avendola sorpresa con l'amante, Sunwoo decide di mentire; e così perde se stesso. Scoperto che anche il suo uomo di fiducia lo ha tradito, il furibondo boss innesca una spirale di vendette dove la violenza cresce in modo esponenziale. Solo contro tutti, l'eroe affronta nemici vecchi e nuovi, coalizzati per avere la sua pelle. In Bittersweet Life l'universo plumbeo del classico noir sposa il virtuosismo del film d'azione asiatico, che coreografa le sequenze come "numeri" di danza. Già arrivato sui nostri schermi con l'oppressivo (e discutibile) Two-Sisters, Kim Jee-woon colpisce forte e duro, sparando sequenze che mirano ai sensi dello spettatore come un'arma di precisione. |
da Film Tv (Raffaella Giancristofaro) |
A Seoul, Sunwoo è il factotum di Kang, potente boss della mala, che lo incarica di pedinare, in sua assenza, la sua giovane protetta. Scoperta la relazione con un ragazzo molto più giovane di Kang, Sunwoo le risparmia una fine certa, tradisce la promessa fatta a Kang e si firma da solo una condanna a morte, affrontando una girandola di criminali sanguinari. «Non è il vento né gli alberi che si muovono, ma è qualcosa dentro di te». Con la risposta di un saggio al suo discepolo si apre il noir del sudcoreano Kim Je-woon. L'eleganza impeccabile di Two Sisters torna anche in questo manicheo poema di amore che porta all'abisso: tra John Woo, Ouentin Tarantino e Takeshi Kitano. Una violenza vendicatrice, regia al limite dell'estetizzazione, e un magnetico, affascinante protagonista, che assomiglia moltissimo e si muove come l'Alain Delon di Frank Costello faccia d'angelo di Melville. Un esercizio di stile che, tra ralenti, acrobazie, virtuosismi fotografici, conferma ampiamente quanto il regista si muova a suo agio tra un genere e l'altro. Un film haiku, permeato dalla dolorosa consapevolezza che non esiste felicità se non nel sogno, come suggerisce un finale surreale, quasi metafisico. Consigliato a chi, mai sazio di vendetta, non si accontenta della trilogia di Park Chan-Wook. |
i giovedì del
cinema
invisibile
TORRESINO
ottobre-dicembre 2007
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