L'eco dei passi zoppicanti
della cassiera del vecchio cinema ormai in chiusura,
misuratori del tempo, non tanto del film, quanto dello
spettatore, ha risuonato, 16 anni dopo, al teatro alle
Tese
dell'Arsenale di Venezia, trasmettendo
ai presenti l'immutata suggestione
ipnotica indotta dalla
magia dell'incontro casuale con i fantasmi del passato,
dallo stupore estatico di un bambino di fronte alle
immagini, dalla malinconia di un amore forse mai
dichiarato, che fanno di
Bu
san (Goodbye Dragon Inn) uno dei più bei
film di Tsai Ming-liang.
In occasione della proiezione della versione restaurata
dell'opera, presentata a Venezia nel 2003, il direttore
della Biennale Arte Ralph Rugoff ha invitato il grande
maestro taiwanese (Leone d'Oro nel 1994 con Vive l'Amour e
autore tra l'altro di The Hole, Il gusto dell'anguria, I
Don't Sleep Alone, Stray Dogs) a dialogare con gli
spettatori dopo la visione del film .
Si sa che, pur essendo il cinema un'arte contemporanea, la
tendenza è quella di tenere separati i due campi per una
specie di diffidenza reciproca, conseguita alla direzione
commerciale intrapresa dal cinematografo. Non sono certo
mancati gli sconfinamenti: alla stessa Mostra del Cinema
di Venezia sono stati invitati a presentare i loro film
negli anni passati famosi artisti come Pipilotti Rist,
Piotr Uklanski, Shirin Neshat e in questa edizione il
giovane artista americano Grear Patterson (con
Giants Being Lonely),
più raro, non solo per questioni logistiche, è che un
lungometraggio trovi posto in uno spazio espositivo
dedicato all'arte.
L'apertura di Rugoff nei confronti del cinema, già
evidenziata dai numerosi video di qualità presenti in
questa edizione e dall'aver invitato due registi come
Sokurov e Apichatpong Weerasethakul ad essere presenti con
le loro opere (di cui abbiamo parlato
nel numero precedente),
ha dato il via a questa iniziativa del tutto nuova per i
frequentatori del Festival, che per una volta hanno
abbandonato le solite sale per spostarsi nel magnifico
scenario dell'Arsenale.
A parte la magia rimasta
intatta del bellissimo film di Tsai, malinconica e
ipnotica ricostruzione dell'ultima proiezione del film
Dragon Inn di King Hu in
un vecchio cinema, che sta per chiudere (recensione su
MCmagazine 8),
altrettanto affascinante e nel contempo sorprendente si è
rivelata le performance, soprattutto per chi in questi
anni ha seguito con passione le opere di questo autore.
Se, come regista, Tsai Ming-liang ci ha abituati ad
apprezzare le lunghe pause e i silenzi dei suoi film, in
quel contesto, sorprendentemente, per ben due ore,
muovendosi sopra un grande foglio bianco con alcuni suoi
disegni, al centro di un anfiteatro formato dagli
spettatori, egli ha parlato ininterrottamente di sé, della
sua vita, del suo rapporto col cinema e con l'arte.
Prendendo
spunto dal fatto che alcuni visitatori capitati
casualmente in sala, una volta saputo che si proiettava un
film, sono rapidamente fuggiti, ha
sottolineato la difficoltà che ha il Cinema ad essere
accettato come Arte, nonostante egli stesso si collochi a
metà strada, in quanto i suoi film, che hanno sempre
trovato problemi nella distribuzione, sono invece stati
ospitati da importanti musei e gallerie d'arte, nel 2009
ad esempio egli ha diretto
Lian, il primo lungometraggio a essere
incluso dal Museo del Louvre nel progetto Le Louvre
s'offre aux cinéastes, diventato punto di riferimento per
tutti i film girati successivamente all'interno di musei.
Dragon Inn, la
pellicola che viene proiettata all'interno del cinema Fuhe,
un vero cinema di Taiwan, in
Bu San, appartiene a quella tipologia di
lungometraggi prodotti a Hong Kong, che circolavano in
Cina negli anni sessanta, film di avventura, che
prevedevano mirabolanti combattimenti, capaci di sfidare
la forza di gravità, e che hanno dato il via al genere
wuxia. Su questi Tsai ha costruito il suo immaginario, fin
da quando, trasferitosi da piccolo dalla Malesia a Taiwan,
veniva portato quasi ogni giorno al cinema dal nonno.
Contrariamente al Giappone infatti, in Cina il cinema
europeo di Truffaut, Fellini, Bergman... è arrivato molto
tardi.
È quindi proprio a partire da quel tipo di cinema, a cui
tuttora si sente molto legato, e a cui ha reso un accorato
omaggio in Bu San,
che egli ha elaborato la sua poetica, realizzando i primi
film. Film che ovviamente nessuno andava a vedere, tanto
che lui stesso con i suoi collaboratori era costretto a
vendere i biglietti per le strade. Racconti di vita,
riflessioni sul cinema in generale e sul suo in
particolare, sui suoi attori, sull'arte, sulla musica, sui
suoni hanno tenuto inchiodati per più di due ore gli
spettatori affascinati da questo artista, così criptico
nelle sue opere, che si è invece dimostrato desideroso di
raccontarsi al suo pubblico, a cui con grande generosità,
umanità e simpatia ha fatto un dono pari al “dolce della
fortuna” a forma di pesce che la dolce bigliettaia di
Bu San prepara per
il bel proiezionista.
Cristina Menegolli |