Sembra l'ascolto di una
grande partitura orchestrale, a volte armoniosa, altre con delle
forti dissonanze, come nella musica di Gustav Mahler, l'effetto che si respira visitando i padiglioni della
56 Biennale di Arte
contemporanea di Venezia. Il leit motive, come dichiara lo stesso
curatore Okwwui Enwezor, è la ricerca della risposta alla difficile
questione "come possano artisti eterogenei: artisti, filosofi ,
scrittori, compositori, coreografi,cantanti e musicisti interpertare
e fare reagire il pubblico attraverso le molteplici forme del
linguaggio dell'arte a agli sconvolgimenti di quest'epoca?"
Tutta l'operazione di Okwwui Enwezor sembra essere un costante
dialogo tra presente e passato, con delle forme in divenire che si
interrogano sui grandi temi di oggi, ruotando però, attorno al basso
continuo del Capitale (inteso proprio come come "il predatore per
eccellenza nell'economia della politica e dell'industria della
finanza"). Ed è proprio in quest'ottica che si svolge la
lettura/azione concepita dall'artista e regista Isaac Julien,
del Kapital di Karl Marx, traslato per l'occasione in
una sorta di opera drammaturgica che sarà letta quotidianamente
all'interno del Padiglione Centrale, per tutti i sette mesi della
Biennale. E' questo il centro, il cuore pulsante della domanda che
ci porta a dialogare con il passato, interrogandoci però su cosa
stiamo facendo oggi. Ed è partendo appunto da questo dialogo con le
tematiche di Marx che va letto tutto il padiglione centrale e dallo
scambio sedimentato nel tempo che si attraversa la prima parte delle
Corderie (ricche tra l'altro di materiali d'archivio vari) dove si
incappa nella performance sonora di Jennifer Allora e
Guillermo Calzadilla che fanno un lavoro polifonico a partire
proprio dalla Die Schöpfung (Creazione) di Joseph
Haydn.
Per quanto riguarda
i giardini, di particolare rilievo risultano i
lavori al Padiglione del Belgio (che nella 55 edizione aveva vantato
lo stupendo albero di Berelinde De Bruyckere) e che adesso propone
artisti di fama internazionale tra cui il lavoro dell'italiana
Elisabetta Benassi, e l'inquietante "generatore di clandestini" di
James Beckett.
Certamente ricca di spunti visivi e di suggestioni concettuali è
l'installazione di Fiona Hall all'interno del nuovo Padiglione Austaliano progettato da
Denton Corker.
L'artista presenta il lavoro Wrong Way Time, muovendo dalla
tematica per l'appunto che ci stiamo muovendo tutti nella direzione
sbagliata.
La sua è un enorme figura sospesa facente parte di una
serie di venti, dove tutte le figure sono cucite a maglia con i
tessuti mimetici sfilacciati
provenienti dalle uniformi militari di
vari paesi che mette bene in evidenza il repertorio dell'immaginario
australiano.
Molto riuscito dal punto di vista dell'impatto scenografico è da
considerarsi il padiglione svizzero, dove l'allagamento del
pavimento operato dall'artista
Pamela Rosencranz che realizza una
sorta di piscina colorata, dove la luce naturale e i neon sospesi
creano un effetto cangiante sapientemente cinematografico.
Meno
interessante e decisamente funereo appare invece il Padiglione
Italia, curato da Vincenzo Trione che sembra voler fare bene i
compiti, ma senza metterci troppo coraggio. Trione seleziona 16
artisti: tra i soliti noti e meno noti che vanno dal Paladino
dell'arte povera alla Vanessa Beecroft, alcuni sono artisti con
lavori interessanti come quello di
Marzia Migliora
altri decisamente no.
L'effetto prodotto da questa nuova accozzaglia eterogenea,
denominato per l'appunto "Codice Italia", è ancora una volta quello
di un'Italia tombale che sembra voler campare ancora una volta sui
fasti dei tempi che furono e in questo senso risulta emblematico il
filmato monumentale e quasi pubblicitario, posizionato all'ingresso
di Peter Greenway che ci fa entrare ed uscire dal Padiglione (sempre
passando dalla stessa parte).
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