luglio 2015

periodico di cinema, cultura e altro... ©

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Reg.1757 (PD 20/08/01)

 

Biennale Arte

 

 

  Sembra l'ascolto di una grande partitura orchestrale, a volte armoniosa, altre con delle forti dissonanze, come nella musica di Gustav Mahler, l'effetto che si respira visitando i padiglioni della 56 Biennale di Arte contemporanea di Venezia. Il leit motive, come dichiara lo stesso curatore Okwwui Enwezor, è la ricerca della risposta alla difficile questione "come possano artisti eterogenei: artisti, filosofi , scrittori, compositori, coreografi,cantanti e musicisti interpertare e fare reagire il pubblico attraverso le molteplici forme del linguaggio dell'arte a agli sconvolgimenti di quest'epoca?" Tutta l'operazione di Okwwui Enwezor sembra essere un costante dialogo tra presente e passato, con delle forme in divenire che si interrogano sui grandi temi di oggi, ruotando però, attorno al basso continuo del Capitale (inteso proprio come come "il predatore per eccellenza nell'economia della politica e dell'industria della finanza"). Ed è proprio in quest'ottica che si svolge la lettura/azione concepita dall'artista e regista Isaac Julien, del Kapital di Karl Marx, traslato per l'occasione in una sorta di opera drammaturgica che sarà letta quotidianamente all'interno del Padiglione Centrale, per tutti i sette mesi della Biennale. E' questo il centro, il cuore pulsante della domanda che ci porta a dialogare con il passato, interrogandoci però su cosa stiamo facendo oggi. Ed è partendo appunto da questo dialogo con le tematiche di Marx che va letto tutto il padiglione centrale e dallo scambio sedimentato nel tempo che si attraversa la prima parte delle Corderie (ricche tra l'altro di materiali d'archivio vari) dove si incappa nella performance sonora di Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla che fanno un lavoro polifonico a partire proprio dalla Die Schöpfung (Creazione) di Joseph Haydn.
BenassiPer quanto riguarda i giardini, di particolare rilievo risultano i lavori al Padiglione del Belgio (che nella 55 edizione aveva vantato lo stupendo albero di Berelinde De Bruyckere) e che adesso propone artisti di fama internazionale tra cui il lavoro dell'italiana Elisabetta Benassi, e l'inquietante "generatore di clandestini" di James Beckett. Certamente ricca di spunti visivi e di suggestioni concettuali è l'installazione di Fiona Hall all'interno del nuovo Padiglione Austaliano progettato da Denton Corker.
L'artista presenta il lavoro Wrong Way Time, muovendo dalla tematica per l'appunto che ci stiamo muovendo tutti nella direzione sbagliata.

La sua è un enorme figura sospesa facente parte di una serie di venti, dove tutte le figure sono cucite a maglia con i tessuti mimetici sfilacciati provenienti dalle uniformi militari di vari paesi che mette bene in evidenza il repertorio dell'immaginario australiano.
Molto riuscito dal punto di vista dell'impatto scenografico è da considerarsi il padiglione svizzero, dove l'allagamento del pavimento operato dall'artista Pamela Rosencranz che realizza una sorta di piscina colorata, dove la luce naturale e i neon sospesi creano un effetto cangiante sapientemente cinematografico.
Meno interessante e decisamente funereo appare invece il Padiglione Italia, curato da Vincenzo Trione che sembra voler fare bene i compiti, ma senza metterci troppo coraggio. Trione seleziona 16 artisti: tra i soliti noti e meno noti che vanno dal Paladino dell'arte povera alla Vanessa Beecroft, alcuni sono artisti con lavori interessanti come quello di Marzia Migliora altri decisamente no.
L'effetto prodotto da questa nuova accozzaglia eterogenea, denominato per l'appunto "Codice Italia", è ancora una volta quello di un'Italia tombale che sembra voler campare ancora una volta sui fasti dei tempi che furono e in questo senso risulta emblematico il filmato monumentale e quasi pubblicitario, posizionato all'ingresso di Peter Greenway che ci fa entrare ed uscire dal Padiglione (sempre passando dalla stessa parte).
 

Sarah Revoltella - maggio 2015