febbraio-marzo
aprile 2006

trimestrale di cinema, cultura e altro...

n° 16
Reg.1757 (PD 20/08/01)

 

    

 

retrospettiva DAVID LEAN

Maria Cristina Nascosi

 

pink o eroguro ?

Alessandro Tognolo

La rassegna  (prima completa realizzata in Italia) sul grande regista britannico David Lean è stata la punta di diamante del XXIV Bergamo Film Meeting: 16 titoli fondamentali,  un catalogo ricco di preziosi interventi, che non ha tralasciato lo storico pezzo di amore/odio scritto André Bazin su The Bridge on the River Kwai, apparso sul primo numero del 1958 dei Cahièrs du cinèma ed intitolato, manco a dirlo, Haute infidélité.
David Lean era nato nel 1908; dopo una lunga carriera come montatore, esordisce nella regia, nel 1942, insieme con il commediografo Noel Coward, dirigendo un suo testo: In
Which We Serve - Eroi del mare, che diventa il prototipo del film di impegno bellico britannico. Coward ne è l’ottimo (serioso e politically correct) protagonista; vi appaiono pure due giovanissimi Michael Wilding e John Mills, futuri ‘mostri sacri’ della cinematografia inglese; è già presente Celia Johnson, attrice esemplare, dall’apparenza quasi insignificante, in realtà attrice di grande sintesi interpretativa, con cifra stilistica performativa giocata/recitata (played) modernamente, si potrebbe dire, in continua sottrazione.
Il sodalizio con Coward continua con
This Happy Breed - La famiglia Gibson fino a Breve incontro, del 1945, capolavoro del dopoguerra, ancora (come il precedente) con Celia Johnson ed un sempre misurato Trevor Howard, anche se stavolta un po’ fuori dai suoi ‘soliti’ schemi d'attore. Un minimalismo quasi teatrale della mise-en-scéne (non a caso, visto l’autore) caratterizza Breve incontro, cui fanno seguito due insuperati adattamenti di Lean da Dickens: Great Expectations ed Oliver Twist
(il recente remake di Polanski evidenzia, nel confronto col pur bravissimo Ben Kingsley, la classe irraggiungibile di Alec Guinness).
Seguono alcune pellicole di cui è protagonista Ann Todd (allora sua moglie, di cui era innamoratissimo) di cui molti ricorderanno la sofferta interpretazione, come consorte di Gregory Peck, in
Il caso Paradine di Hitchcock.
Nel 1954 Lean gira
Hobson il tiranno, uno storico ritratto vittoriano, interpretato da par suo dal magnifico istrione, Charles Laughton, mentre nel 1955 prende il via la grande produzione internazionale che inizia con  Tempo d’estate, in cui  dirige a Venezia Katharine Hepburn accanto al nostro Rossano Brazzi.
Dall’incontro con Sam Spiegel nasce il
Il ponte sul fiume Kwai, superproduzione anglo-americana del 1957 che vince 7 Oscar, ancora con Alec Guinness, sempre al top, e con un William Holden bello, atletico e fascinoso (quasi come ne L’amore è una cosa meravigliosa di due anni prima...).

La grandeur continua con Lawrence d’Arabia, tratto dal libro I sette pilastri della saggezza di Thomas Edward Lawrence, che diede smalto e notorietà ad un Peter O’Toole mai-più-così per arrivare, nel 1965, al colossal/cult movie Il dottor Zivago, premiato coni 5 Oscar, un “…superspettacolo - come sottolinea Emanuela Martini - di altissimo budget e di popolare impegno che diventerà come genere, dagli anni ’70, una costante saltuaria del cinema europeo, non solo inglese”.

Un flop, nonostante due Oscar, caratterizza invece  La figlia di Ryan, nel 1970, fatto che spinge Lean a ritirarsi dalla regia. Ritornerà a dirigere per un’ultima volta (escludendo Nostromo, un ‘non risolto’ dovuto alla sua malattia e morte, che lo colse nel 1991) nel 1985 con l’adattamento da Edward M. Forster di Passaggio in India (2 Oscar), interpreti una giovane, già molto brava (nella sua pruriginosità tutta inglese) Judy Davis e due mostruosi ‘old vic…hiani’ come Peggy Ashcroft e, why not, Alec Guinness.
In margine ad una ricchezza figurativa memorabile, va  sottolineata, riguardo all'opera di David Lean, un'ulteriore  costante di raffinatezza : la colonna sonora. Nei suoi film la musica, più che commento, è spesso un’altra grande protagonista, forse la deuteragonista, rispetto ai grandi attori da lui coinvolti: sia che fosse ripresa da quella classica, come il 2° mov. dal Concerto n. 2 di Sergej Rachmaninoff, che accompagna i momenti salienti di Breve incontro (un pezzo fin troppo usato, basti pensare a Il ritratto di Jennie, di Wilhelm Dieterle, di soli tre anni dopo)  sia che si trattasse di partiture scritte ad hoc come quelle per
Spirito allegro e The passionate Friends – Sogno d’amanti, firmate da un autore ‘ancora’ classico come  Richard Addinsell (quello del mitico The Warsaw Concert – Il Concerto di Varsavia). E come non rimanere impressionati dal respiro epico e struggente delle composizioni di Maurice Jarre per Lawrence d’Arabia o Il Dottor Zivago?

 

I film della rassegna

In Which We Serve (Eroi del mare, 1942)
This Happy Breed (La famiglia Gibson, 1944)
Blithe Spirit (Spirito allegro, 1945)
Brief Encounter (Breve incontro, 1945)
Great Expectations (Grandi speranze, 1946)
Oliver Twist (Le avventure di Oliver Twist, 1948)
The Passionate Friends (Sogno d’amanti, 1949)
Madeleine (L’amore segreto di Madeleine, 1950)
The Sound Barrier (1952)
Hobson's Choice (Hobson il tiranno, 1954)
Summer Madness (Tempo d’estate, 1955)
The Bridge on the River Kwai (Il ponte sul fiume Kwai, 1957)
Lawrence of Arabia (Lawrence d’Arabia, 1962)
Doctor Zhivago (Il dottor Zivago, 1965)
A Passage to India (Passaggio in India, 1984)

 

Anche quest’anno Udine "porta a oriente” e la figura longitipica della ragazza della locandina (dal volto decolorato e meditabondo, vestita con uno sfavillante cappottino rosso)   ci conduce all’interno del nutrito programma. Una selezione, quella dell'VIII Far East Film Festival, che, rispetto agli anni scorsi, si è fatta ancora più densa, specchio del sempre più crescente interesse da parte di pubblico e stampa, e della risonanza internazionale suscitata dall’evento. I numeri parlano chiaro: 50 mila spettatori e mille accreditati da più di venti paesi diversi.
In sintesi: Hong Kong, Corea del Sud e Giappone, erano i paesi maggiormente rappresentati con, rispettivamente, dodici, tredici e otto pellicole; seguivano Cina e Filippine - quattro ciascuna -  Thailandia con sei, Taiwan con una.
Il festival si è aperto all’insegna dell’horror d’autore con la prima visione europea dell’ultimo lavoro di Takashi Miike
Imprint, episodio della serie Masters of Horror (a cui hanno partecipato anche John Carpenter, Joe Dante, John Landis, Dario Argento), commissionato, e poi esiliato, dal canale satellitare americano Showtime. L’horror, come genere, nelle sue varie forme, ha permeato la visione di diversi film, anche se propriamente non di genere (per quelli non poteva non ripetersi il “sacro” rito dell’horror day…), tra cui è doveroso menzionare Rampo Noir, oggetto perturbante e di indelebile memoria.
Le sorprese maggiori sono arrivate dalla
retrospettiva dedicata al musical asiatico Asia canta!, dal tributo a Meike Mitsuro – regista di Pink movies – e dall’omaggio al grande autore giapponese Jissoji Akio. Ma è proprio il già citato Rampo Noir a unire, o meglio, condensare, la curiosità e l’interesse verso generi e nomi (a noi) così poco conosciuti.
Rampo Noir è un film composto da quattro distinti episodi basati sulle storie di Edogawa Rampo firmati da quattro diversi registi, i giovani Takeuchi Suguru e Kaneko Atsushi e i più anziani e stimati Sato Hisayasu e Jissoji Akio, con protagonista Asano Tadanobu, famoso per i suoi ruoli nel cinema indipendente giapponese e già visto in Zatoichi di Kitano. Edogawa Rampo (vero nome Hirai Taro, 1894-1965) è un discepolo di Edgar Allan Poe e Arthur Conan Doyle, ha reso popolare in Giappone il romanzo giallo con Akechi Koguro, una versione locale di Sherlock Holmes, rimodellandone i contenuti e creando un proprio genere, chiamato eroguro, che è una commistione di erotico e grottesco.
I suoi romanzi hanno ispirato decine di film e spettacoli televisivi nel corso degli anni e in particolare hanno assecondato la fantasia di Jissoji Akio (nato a Tokyo nel 1937) prolifico autore già a partire dagli anni 60 di serie televisive, passando per il poliziesco e il giallo, per lo sperimentalismo e il visionario, poi per i film d’essai, approdando infine al cinema di genere (science fiction ed eroguro). Jissoji ha realizzato tre film basati sulle storie di Rampo:
A Watcher In The Attic (Edogawa Rampo Monogatari: Yaneura no Sanposha, 1994), Murder On D Street (D Zaka no Satsujin Jiken, 1997, forse il suo capolavoro) e The Hell Of Mirrors (Kagami Jigoku, 2005) secondo episodio di Rampo Noir (tutti proposti nel corso del festival). I tre film di Jissoji Akio tratti da Rampo sono “storie del mistero, immerse nell’erotismo, nel decadente e nel macabro, con una base di umorismo beffardo e di sguardo penetrante sulle più basse passioni umane”, in cui il protagonista detective Akechi Kogoro, “dall’intuito inquietante per i recessi più oscuri dell’animo umano, guance scavate, altezza imponente, modi concisi”, indaga, sulle perversioni voyeristiche di un giovane languido abitante di una pensioncina della Tokyo di inizio secolo (A Watcher In The Attic), sull’uccisione della proprietaria di un negozio di libri con una certa propensione per il sesso perverso (Murder On D Stree), sull’uccisione di alcune donne legate ad un particolare specchio giapponese (The Hell Of Mirrors). Per quanto i film e le storie siano a tutti gli effetti dei gialli, in cui il fine ultimo è la scoperta dell’assassino e i modi dell’assassinio, Jissoji è interessato, sempre, più allo sviluppo delle caratteristiche umane, folli, esacerbate, intrinseche dei personaggi (investigatore compreso), che alla mera scoperta dei fatti. L’autore riesce a creare un mondo con una esclusiva atmosfera ovattata, contenitrice di pulsioni e istinti primari e fecondi, e usa a pretesto l’intreccio narrativo per svelare le ombre e i sospetti della psiche, provocando una sorta di danza perpetua sui ricordi, la percezione, il passato, l’immaginazione: “Mi piacciono le cose che non hanno uno scopo. Non amo i film il cui obiettivo è commuovere la gente oppure darle forza. Tutti i miei film sono esattamente l’opposto: non hanno alcuno scopo”.
Rampo Noir fa da legame anche con un altro importante filone della cinematografia giapponese: i film
pink (pinku eiga), di cui Sato Hisayasu è uno dei cosiddetti “quattro imperatori”. L’episodio diretto da Sato, Caterpillar (Imomushi), non costituisce affatto un pink – è più schiettamente eroguro nel classico stile di Rampo – ma può essere a suo modo assoggettato per alcuni aspetti erotico-sessuali: il tenente Sunaga torna dalla guerra ridotto a un torso mutilato, senza mani né piedi né lingua, in grado di comunicare solo con grugniti, gemiti e con gli occhi tormentati (un bruco, come dal titolo). All’inizio la moglie si occupa di lui ma col tempo si stanca e scopre un modo migliore per accudirlo… E’ proprio nella personaggio della moglie che il film risente dell’anima pink del regista: giovane e attraente con marcati e frequenti desideri sessuali. Di fatto i film pink sono a tutti gli effetti dei porno soft (la formula prevede una scena di sesso simulato ogni dieci minuti circa), destinati ai cinema pidocchiosi frequentati da anziani maniaci sessuali, ma che in taluni casi, data la discreta quantità di libertà di sperimentazione, riescono ad elevarsi e diventare qualcos’altro. E’ il caso di Bitter Sweet (2004) e The Glamorous Life of Sachiko Hanai (Hanai Sachiko no Karei no Shogai, 2005), entrambi di Meike Mitsuru. Il trentasettenne regista ha vinto nel 2002 il premio come migliore regista di pink, e con questi due titoli è riuscito a trovare una distribuzione fuori dal circuito a luci rosse. Ciò che li contraddistingue dai normali prodotti pink è “la penetrante aria di nostalgia, frustrazione e tristezza, abbastanza comune nella vita reale ma davvero rara nel porno”, soprattutto per quanto riguarda Bitter Sweet, dove ci si trova di fronte a situazioni comuni e facilmente identificabili: strade generiche, stanze d’albergo, ristoranti della vita urbana giapponese. Per contrasto invece The Glamorous Life of Sachiko Hanai risulta molto più bizzarro r spassoso: l’eroina (come sempre dotata di un corpo tutto curve) viene colpita casualmente da un proiettile che le si ferma nel cervello aumentando a dismisura il suo quoziente di intelligenza: divora libri di Kant, Sartre e Chomsky e inizia a declamare frasi dotte... Il film diventa così, e non marginalmente, l’occasione per satireggiare un po’ su tutto, dalla presunzione accademica alla politica estera di George W. Bush.
 

La retrospettiva David Lean è’ stata curata da Emanuela Martini e Fiammetta Girola, con il fondamentale apporto del British Film Institute, la collaborazione del British Council e l’adesione della David Lean Foundation.
Il catalogo è stato curato da Emanuela Martini.