Un concerto memorabile
Ezio Leoni
Il
jazz come passione, il pianoforte come vero passepartout comunicativo, la
voce quale strumento indispensabile per armonizzare testi e suoni.
Quando Peter Cincotti (ventidue anni, due album apprezzatissimi
all’attivo) attacca al pianoforte, sul piccolo palco del Casinò, sembra
che altro non serva per corroborare la sua esibizione. Ma non appena la
sua voce, suadente e grintosa, si fa sentire appare subito come un
tassello indispensabile per apprezzare fino infondo la verve di questo crooner newyorkese.
Così come quando contrabbasso (Barak Mori) batteria (Obed Calvaire) e
sax (Scott Kreitzer) entrano a supporto non si può non rimanere
impressionati dalla completezza di una formazione in perfetta intesa,
nelle melodie e nelle improvvisazioni.
Meno debordante (in orchestrazioni e trend di successo) di Michael Bublè,
non sempre all’altezza come trascinante compositore (rispetto, ad
esempio, al love-swing di Cullum), Cincotti ha però dalla sua un’anima
di jazzista intenso e puro che scardina qualsiasi standardizzazione
artistica: inizia il concerto con
Sway,
risfodera
St. Louis
Blues
e apre al pop-rock (con Mori che lascia spesso il contrabbasso per
imbracciare il basso elettrico), si diverte con
Cindarella Beautiful,
si strugge con
I'm
always watching you
(due assolute novità), lascia spazio anche ai suoi musicisti in una
trascinante jam-session.
Concede due bis, ma non la riproposta di brani molto attesi come I
Changed The Rules
e
On the Moon.
Rigoroso, appassionato, elegante.
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