Elisabetta,
gemma d'Italia
A
volte l’allievo supera il maestro. In questo caso l’allieva. E’ ciò che è
accaduto ad
Elisabetta Sirani,
figlia e discepola di Giovan Andrea Sirani, artista bolognese unanimemente
riconosciuta come l’ultima erede della lezione reniana, che nel XVII
secolo visse originalmente la sua esistenza di donna intellettuale ed ‘emancipata’,
termine anacronistico che ben s’attaglia alla grande personalità della
Sirani, anche musicista, ‘attenta’ alla filosofia del tempo.
Imperdibile e splendida la mostra monografica che
Bologna
le ha dedicato per la prima volta, al Museo Archeologico, iniziata a
dicembre
dello scorso anno e in chiusura ad
aprile.
Dalle molte opere presenti, oltreché dal coté pittorico di tutto riguardo
che le accompagna quale naturale corollario, composto da artisti quali
Guercino, Guido Reni (l’altro più importante suo maestro), si può evincere
il grande amore di lei per la ‘lezione veneta’, anche se ‘dichiarato’ con
citazioni in apparenza a margine: notevoli, infatti, sono i riferimenti a
Tiziano e Veronese nemmeno tanto minimali, specie nelle tele più
imponenti. Grande e forte è la stesura pittorica di Elisabetta Sirani,
collocata tra le femmes fortes del suo tempo, secondo le immagini
classiche e bibliche in uso nella letteratura del Seicento in Europa
(“…Più forte di un uomo…" come osserva il suo biografo, il canonico Carlo
Cesare Malvasia).
Eppure la dolcezza, la delicatezza del tocco femminile unico,
riconoscibilissimo, di Elisabetta Sirani, salta decisamente all’occhio,
specie nelle
Maternità:
le sue Madonne con Bambino e (anche se non sempre) San Giovannino,
colpiscono per davvero.
Solo un punto di vista femmineo, materno, anche se non espressamente ‘di
madre’ – non è necessario – riesce a ricreare, come nelle tele della
eclettica bolognese, certe espressioni tipicamente infantili dei bimbi che
suggono il latte dal seno materno o che guardano, magari angolarmente
rispetto alla scena pittorica, l’atteggiamento della Madre, di fronte, in
primo piano.
E quanto grande sia l’arte della Sirani, semisconosciuta ancora oggi ai
più, nonostante certa fortuna di cui godette nell’Ottocento, lo si può
cogliere dalle chine acquarellate monocrome in seppia che provengono, come
molte delle opere in mostra, da molti parti d’Europa e persino da
collezioni private non note fino ad ora. Una tecnica, quella della china
acquarellata che, va detto, l’artista applicò per prima; fu, dunque, una
vera innovatrice e sperimentalista per i suoi tempi, precorritrice nella
consapevolezza del suo essere Artista-Donna, veramente ante-litteram
quant’altre mai
Maria Cristina Nascosi |
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Un grande ferrarese a Padova
Maria Cristina Nascosi
Da
gennaio è
aperta a
Padova, a
Palazzo Zabarella , una delle
migliori e più complete retrospettive mai tenutesi su
Giovanni Boldini,
artista ferrarese. A quarant’anni dall’imponente rassegna allestita
nel 1963 al Museo Jacquemart – André, di Parigi, e dopo la recente
pubblicazione del catalogo
generale dell’operato dell’artista, questo avvenimento offre, al visivo
fruitore, un’immagine nuova e più approfondita di uno dei maggiori
protagonisti della pittura e del gusto internazionali tra Otto e Novecento
e lo fa in maniera sicura, elegante, pregnante e lieve, ad un tempo; tutte
cifre sicuramente facenti parte della forma mentis e degli ideali di
bellezza di
Boldini,
in tema, dunque, perfettamente, con i suoi canoni ed intenti d’artista
alla moda e, insieme, ‘classico’.
Giovanni Boldini
era nato a Ferrara il 31 dicembre 1842 e morì a Parigi nel 1931. Nel corso
della sua lunga vita fu una delle personalità artistiche del suo tempo più
amate, forse anche per la sua esclusiva capacità di ritrarre, attraverso
una pittura viva, carica di vitalità e di sensualità, personaggi, luoghi o
atmosfere particolari come quella peculiarissima che lo rese famoso e che
lo incatenò a sé per sempre, quella della Bella Epoque. Per tutti rimane,
infatti, il magnifico
interprete di quella stagione unica, come unici furono i suoi protagonisti
e, certamente
Boldini
fu questo, ma non solo: iniziando dalla sperimentale stagione fiorentina
dei Macchiaioli, uscì presto da questo ‘seminato’ seppur di ‘lusso’, per
volgersi ad una ribalta internazionale, che lo gratificò, in vita,
tributandogli enorme successo, grazie ad un talento e ad una genialità
artistica e personale davvero irripetibili.
Non bello fisicamente, ma, anzi, definito da Diego Martelli uno gnomo che
vi inviluppa, vi sbalordisce, vi incanta, Giovanni
Boldini
era uomo idolatrato dalle donne,
vero tombeur des femmes, elegante e
sofisticato.
Dalla enorme produzione pittorica sono state selezionate circa centoventi
opere, provenienti dai maggiori musei (la Galleria d’Arte Moderna di Roma,
Capodimonte di Napoli, il Musée d’Orsay di Parigi, il Metropolitan Museum
di New York, il Philadelphia Museum e collezioni private europee ed
americane). Sono i capolavori più significativi di un percorso che lo ha
visto partecipe e protagonista di diverse esperienze, dalla giovinezza
legata a Firenze ed ai Macchiaioli, come si diceva più sopra, alla
maturità di un’arte e di una vita trascorse per intero a Parigi, seppur
intervallate da frequenti viaggi in Italia, in particolare a Venezia, a
Londra, in America. A Parigi, allora capitale riconosciuta unanimemente
per le arti,
Boldini
mutò il suo pur personale iniziatico linguaggio macchiaiolo, per aderire
alla pittura à la mode, condizionata dalle esigenze dei ricchi
collezionisti francesi ed americani il cui referente era il potente
mercante d’arte Goupil. In questo genere, che prevedeva quadri di piccolo
formato dipinti con sapiente virtuosismo, con temi o di vita contemporanea
o evocanti la perduta grazia del Settecento, guadagnò fama e ricchezza.
Furono il preludio alle opere della maturità, le grandi vedute parigine,
quelle di Venezia, le istantanee – veri fotogrammi, letteralmente - del
mondo della musica e della danza e, soprattutto, i monumentali ritratti
dei maggiori protagonisti della mondanità e della cultura internazionale,
aristocratici, ricchi borghesi, scrittori, celebrità dello spettacolo,
musicisti (come dimenticare Verdi ritratto da
Boldini
nel 1886 e per sempre ‘immortalato’ nella ormai perduta cartamoneta da
Mille lire? - Pastello criticato da Aldo Palazzeschi che nel 1931 – anno
antiboldiniano – scriverà della ‘mondana leggiadrìa’ dell’opera che rende
“il virile musicista emiliano (…) un personaggio del teatro di varietà”).
E questo percorso è, in gran parte, il fil rouge che informa tutta
l’esposizione di Palazzo Zabarella: sale che a tema si dipanano
mostrando i loro capolavori di grazia, di pennellate nervose, suadenti,
poetiche, sicure e virili ed ancora sensuali, quadri pieni di colore e di
calore, in cui ‘i bianchi esasperati’, come li definiva Colette, danno, se
possibile, ancor più luce a quelle figure flessuose, piene di càrnea
levitas, e vita a quei giardini o a quei salotti –
esterni ed interni pervasi di eleganti quanto subliminali afróri - che di sé tutto riempiono,
raccontando poeticamente esistenze di un tempo che fu.
Boldini
fu realmente orchestratore di sempre nuove sinfonie cromatiche e
compositive, basate su accordi riconducibili ad un raffinato repertorio di
cose e gesti.
Da non perdere neppure e, forse, ancor più, ‘operette’ quali Dalla
soffitta a Ferrara, pezzo giovanile, del 1870, in cui arte, poesia ed
affetto mai dimenticato ‘di casa’ divengono un tutt’uno imprescindibile
per la conoscenza di un grande artista ineguagliabile, per sempre. |
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