16 millimetri alla rivoluzione

Giovanni Piperno

Documento storico-antropologico sulla lunga vicenda politica e umana del Partito Comunista Italiano, il film si muove fra spezzoni di cinema militante, confronti fra iscritti e simpatizzanti sui temi più scottanti dell’epoca e brani di interviste con Luciana Castellina. Ne riemerge un’Italia rimossa e lontanissima, vivace ed entusiasta, che si spegne definitivamente con la morte di Enrico Berlinguer. Intenso, appassionato. Intimo e collettivo al contempo. Un’indagine sull’eredità del PCI che diventa un atto d’amore per il cinema militante.

Italia 2023 (65′)

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   Un documentario in cui all’inevitabile senso di nostalgia si aggiunge una lucida riflessione su quanto accaduto dopo giungendo fino ai giorni nostri (…) Piperno compie un’operazione importante per due motivi. Il primo è dato dal fatto che ci ricorda che esiste un Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico che ha raccolto e raccoglie documenti preziosi che contribuiscono a costruire la memoria del nostro Paese. Nello specifico poi hanno contribuito alla realizzazione sia la Struttura di missione anniversari nazionali ed eventi sportivi nazionali e internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che la collaborazione di Rai Teche. Troppo spesso, in questo flusso ininterrotto di informazioni che affolla le nostre giornate, si rischia di pensare che il passato, anche quello più vicino a noi, sia remotissimo e pertanto privo di interesse se non per gli storici o i sociologi professionali. Non è e non deve essere così secondo Piperno. Il secondo motivo è dato dalla necessità di ricordare che effettivamente il socialismo reale ha fallito, trasformandosi in dittature che hanno puntato all’uguaglianza negando la libertà e realizzando purtroppo numerose ‘fattorie’ degli animali’ in cui c’era chi si sentiva più uguale degli altri. Questo fallimento però non può e non deve distruggere quegli ideali di uguaglianza e di parità di diritti che la stragrande maggioranza di coloro che votavano PCI intendeva promuovere. Sono quelli che, come ricorda Piperno con il supporto di una testimone del tempo come Luciana Castellina, ebbero l’impressione in quel novembre di sentirsi dire che avevano sbagliato tutto. Quando Giorgio Gaber nel 1992 concludeva il suo monologo “Qualcuno era comunista” dicendo: “Ora, ci si sente come in due. Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra, il gabbiano senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si è rattrappito. Due miserie in un corpo solo” aveva colto nel segno. Oggi questo documentario, avvalendosi di filmati amatoriali così come di inchieste realizzate da firme come Gregoretti e Pontecorvo, ci invita a rileggere quanto accaduto per non cedere alla disillusione del ‘tanto non ci si può fare nulla’. Qualcosa si può fare partendo dai singoli, dalle persone per non far dimenticare ideali che dovrebbero costituire un patrimonio comune sancito anche dalla Costituzione.

Giancarlo Zappoli – mymovies.it

    …Piperno conduce una sorta di percorso a ritroso, prendendo le mosse dal cruciale processo di dissolvimento del partito innescato da Achille Occhetto e Massimo D’Alema sul finire del 1989. Perché di questo poi si trattò; si parlava di un processo di rinnovamento e rinascita, ma di fatto si concluse con tratto netto un appassionante fenomeno politico per lasciare il posto a ben altre realtà. Nel percorso assume un ruolo fondamentale la figura di Luciana Castellina, della quale il film ricuce spunti e riflessioni sulle orme di due interviste a lei sottoposte. La Castellina è una viva voce testimoniale di quella vicenda, e il suo status di emarginata dal partito (fece parte del gruppo del Manifesto espulso dal P.C.I. nel 1969) contribuisce anzi alla lucidità di uno sguardo asciutto e scevro di affettività. Nelle sue parole risuonano fervori e critiche, adesione spontanea a un’idea e chiare analisi sul destino del partito. I suoi interventi alternano l’ampia riproposizione di brani d’archivio che si delineano per forme documentali sotto vari punti di vista. 16 millimetri alla rivoluzione attinge ad ampie dosi dall’AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico), di cui Cesare Zavattini fu il primo presidente – e non a caso il film si conclude con un roboante intervento dello stesso Zavattini su nuove ipotesi di forme cinematografiche. Castellina e le immagini d’epoca si danno il cambio senza soluzione di continuità, disciolte in un naturale flusso narrativo in cui la memoria personale dell’autore ricopre a sua volta un ruolo importante.

Sotto tale punto di vista il film di Giovanni Piperno, scritto insieme ad Alessandro Aniballi, suscita in primo luogo un’entusiastica adesione immediata nel riscoprire uno scrigno di testimonianze di un’Italia lontana, oggi praticamente inimmaginabile. Da un lato si dà piena evidenza al diretto coinvolgimento di fior di intellettuali e cineasti alla vera e propria esistenza quotidiana del P.C.I. Passano in rassegna brani di opere realizzate da Ugo Gregoretti (il più presente), Gillo Pontecorvo, Gianni Serra, Giuseppe Bertolucci e altri, vere e proprie testimonianze di cinema militante, terminologie completamente scomparse dai radar da almeno quarant’anni. Dall’altro si ritrovano tracce anche di Trevico-Torino: Viaggio nel Fiat-nam (1973) in cui Ettore Scola si confrontava con l’alienazione degli operai del colosso automobilistico con approccio provocatorio. E sempre in ambito di personalità del cinema coinvolte con il partito si rintracciano interventi di Gian Maria Volonté, a sua volta inserito in un contributo di Scola (Festival dell’Unità, 1972), così come si rievoca una figura tanto commovente come Bruno Cirino, protagonista di Diario di un no (Gianni Serra, 1974), dedicato all’animatissimo dibattito intorno al referendum sul divorzio. Per finire poi con uno spot elettorale del P.C.I. interpretato dai pasoliniani Ninetto Davoli e Franco Citti, Io voto, tu voti (PCI), realizzato nel 1981 da Giorgio Ferrara, che in qualche modo sembra prefigurare esteticamente il futuro declino del partito. In giro per la Roma di inizio anni Ottanta Davoli e Citti sembrano del tutto alieni rispetto al contesto. Orfani dell’Italia pasoliniana, si delineano come figure fantasmatiche estranee al nuovo paesaggio socio-antropologico in via di definirsi. In pratica, il film di Piperno ricostruisce un’epoca in cui gli strumenti audiovisivi si trasformavano in un dialogo fertile fra realtà e cinema, fra politica e cinema, ricondotti a un’unica finalità e legati in uno strettissimo abbraccio, dove la star o il regista si mescolano alla gente comune senza alcun filtro fra uno e l’altro, riallineati tutti quanti sullo stesso piano di azione, contributo e intervento politico-sociale.

Se da un lato il contributo filmico è realizzato da effettivi autori cinematografici che aderiscono spontaneamente all’impegno del Partito Comunista, dall’altro Piperno rintraccia negli archivi anche una serie di forme audiovisive meno strutturate, filmati realizzati all’epoca come puro e semplice strumento di documentazione di eventi. Così emergono spezzoni di incontri pubblici con Enrico Berlinguer, con figure di spicco della Democrazia Cristiana, e confronti fra iscritti e simpatizzanti sui principali temi sociali del tempo. C’è spazio per tutte le maggiori parole d’ordine, dalla questione del lavoro, al femminismo, alla psichiatria. Con i suoi interventi Luciana Castellina commenta il fluire del tempo, le confluenze e le divergenze, le speranze e i momenti critici, fino a quel fatidico 1984 quando Enrico Berlinguer scompare sancendo di fatto il primo passo verso la dissoluzione del Partito Comunista Italiano. Pochissimo dopo, appena cinque anni (a ripensarci adesso, davvero pochissimo dopo la morte di Berlinguer) Achille Occhetto avvia la nascita del PDS – Partito Democratico della Sinistra, soltanto la prima di una lunga serie di metamorfosi mai veramente vincenti né convincenti, e soprattutto sempre più aliene allo spirito di quanto animava un movimento di massa di tale portata. Nel gioco di parole intorno al cinema contenuto nel suo titolo, 16 millimetri alla rivoluzione restituisce bene la frustrazione di Tantalo di aver vissuto quotidianamente, per qualche decennio, a un passo da un profondo cambiamento sociale, nell’ottica di un Paese più umano, più onesto, più pacifista, più equilibrato nel rapporto fra potere e cittadini, e di non averne colto mai fino in fondo le vere opportunità. Fino alla dissoluzione, fino alla più completa adesione alla globalizzazione consumistica dell’ultimo quarantennio. Cade esattamente quest’anno il quarantennale dalla morte di Berlinguer, da quell’inizio della fine che Piperno riannoda nel suo film con l’inizio del secondo dopoguerra. Tutto si tiene, pubblico e privato, memoria pubblica filmata e memoria privata. Fino allo sconfinamento, in prefinale, della memoria pubblica filmata nel privato. Giovanni Piperno, i suoi amici, sua madre fanno parte della stessa storia, casualmente rintracciati dopo decenni in immagini filmate d’archivio. Cinema, impegno politico, pubblico, privato. Un unico flusso, un unico fluire. Collettivo.

Massimiliano Schiavoni – quinlan.it

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