Vesna va veloce
Carlo Mazzacurati - Italia 1996 (93')

 

   Chi dice che il cinema italiano è in coma profondo? Chi lo dice, chiunque sia, ha decine di ottime ragioni, tante quanto i film malpensati, malscritti, malgirati e ancor peggio recitati che affliggono quelle poche sale che li ospitano e quei pochi spettatori che non hanno l’accortezza di tenersene alla larga. Eppure, ogni tanto qualche schiarita s’intravede, qualche speranza sembra (timidamente) legittimata. È questo certo il caso di Vesna va veloce. Anzi, si tratta ben di più che d’una schiarita e d’una speranza: il film di Carlo Mazzacurat è un’opera matura, equilibrata e profonda (ancor più del suo precedente Il toro, del 1994). Aggettivi, questi, che una volta tanto non nascono da sciovinismo critico, ossia dalla (spesso complice e truffaldina) volontà del recensore di spacciare per buona merce nazionale avariata e puzzolente. Il soggetto di Vesna va veloce è “a rischio”: una giovane e bella ceca varca la frontiera di Trieste su un pullman turistico e, subito dopo, decide di far perdere le proprie tracce, tentando la fortuna in Italia come tante altre e tanti altri clandestini dell’Est europeo. Naturalmente, la via più diretta al benessere e anzi la sola che le sia percorribile è quella della prostituzione, con tutto quanto ne segue. In che cosa consiste il rischio? È presto detto. La misera astuzia dei miserrimi sceneggiatori che vanno per la maggiore in Italia non avrebbe esitazioni. Un po’ come fa la povera Vesna, ma certo senza le sue attenuanti, imboccherebbe la via diretta della prostituzione del gusto, mescolando sesso per sottosviluppati e battutacce pseudorealistiche. Il resto – ossia la regìa, i dialoghi e la recitazione – sarebbe del tutto trascurato, un po’ per “noncuranza autoriale” e molto per analfabetismo specifico. Invece, Mazzacurati e i cosceneggiatori scelgono la via più difficile, e la percorrono ottimamente sino in fondo. La loro Vesna è credibile, viva, dolorante e piena di speranza, per quanto tragica e paradossale sia la sua condizione. Il merito è anche di Tereza Zajickova, bella ben più di certe soubrette siliconate che in questi mesi cercano d’accreditarsi come attrici, ma soprattutto molto brava. D’altra parte, quella della recitazione è la sorpresa maggiore di Vesna va veloce: nel senso che i suoi attori recitano davvero, non si limitano a ripetere i dialoghi del copione. Tra tutti, spicca Antonio Albanese, noto come cabarettista e comico televisivo, e che ora dimostra ottime capacità drammatiche. Insomma, quando nell’ultima inquadratura Vesna corre sotto la neve rincorrendo un sogno, a noi pare che con lei, e con la stessa coraggiosa caparbietà, corra anche il nostro cinema, o almeno la sua parte migliore.

Roberto Escobar - Il Sole 24 Ore

 

    In Vesna va veloce Carlo Mazzacurati rievidenzia alcuni stilemi del suo cinema che possono non convincere: narrazioni che non si evolvono, un'eccessiva predilezione per le immagini calligrafiche, inquadrature e movimenti di macchina essenziali ma retorici. Eppure ormai, per noi che lo seguiamo da tanti anni, tutto ciò è diventato quasi un motivo di pregio, una segno di personalità stilistica che alla lunga non infastidisce, ma  coinvolge. E così ci siamo sentiti vicini a Vesna, al suo squallore, all'amore senza speranza di Antonio, a quel finale forse troppo poco aperto, ma ugualmente suggestivo.

ezio leoni - TELECHIARA - speciale Festival di Venezia settembre 1996

   La vena solidaristica del regista si manifesta ancora una volta con lucidità anche se l'esito del film, dal punto di vista espressivo, è abbastanza modesto. Le interpretazioni funzionano (non tanto da parte della protagonista, una autentica céca che è soltanto una presenza, quanto da parte del comico Antonio Albanese, qui per la prima volta in un ruolo cinematografico, e drammatico per giunta), ma Vesna va veloce conta per il messaggio che, senza mai fare la voce grossa, con la come dire? - tranquilla vena di protesta che contraddistingue Mazzacurat, scalfisce la nostra superficie e ci spinge a riflettere su come siamo noi, non su come sono loro.

Ermanno Comuzio - La Rivista del Cinematografo