Uomini che odiano le donne
(Män Som Hatar Kvinnor)
Niels Arden Oplev
– Svezia/Danimarca 2009
- 2h 32'
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Quando
un libro ha venduto oltre dieci milioni di copie, ricavarne un film è
inevitabile; e forse apparirà perfino oltraggioso, ai cultori, riassumere
il soggetto del primo volume della trilogia di Stieg Larsson a beneficio
di chi non lo ha letto. Vi s'intrecciano due linee narrative: le vicende
del giornalista d'inchiesta Michael Blomkvist, finito nelle grane per aver
denunciato le malefatte di un finanziere, e il dramma della famiglia
Vanger, dove lo stesso giornalista è incaricato d'indagare su una
sparizione avvenuta quarant'anni prima. Per risolvere il mistero - un
sordido caso di delitti in serie - Blomkvist ricorre all'aiuto di un
personaggio atipico in rapporto all'universo del poliziesco (e tutt'altro
che secondario per il successo del libro): la hacker Lisbeth Salander,
giovane ribelle tatuata piena di piercing e rancori, ultraconnessa con
ogni genere di supporto tecnologico nonché capace di risolvere qualsiasi
tipo di enigma cifrato. Tra lei e il reporter, seduttore naturale ansioso
di giustizia in un mondo cinico e indifferente, si forma una stranacoppia
suggestiva; anche se troppo preoccupata di apparire anticonvenzionale per
non risultarlo almeno un po'. La tela di fondo su cui agiscono funge da
condensato dei mali dell'epoca (in versione svedese): capitalismo e crisi
economica, sessismo e fascismo di ritorno. La buona notizia è che il primo
film ricavato dalla trilogia
Millennium
(altri due seguiranno) riesce a preservare l'atmosfera del romanzo, il
clima funesto e sinistro in cui il Male trova il suo terreno di coltura.
Buona premessa per un tipo di racconto dove l'interesse principale è che i
personaggi grattino la superficie delle cose, rivelandone le verità
nascoste. Peccato che, poi, la sceneggiatura si accontenti di soluzioni
spesso prevedibili, dove nuovi indizi arrivano a intervalli regolari per
avvicinare gli investigatori alla soluzione. Il tutto intervallato da
episodi di violenza e da scene ad effetto, studiate per non perdere
l'attenzione dello spettatore non "iniziato" alla saga. Niente di male;
quanto basta, però, a fare del film di Oplev un prodotto efficiente ma un
po' anodino, formattato per l'esportazione. |
Roberto Nepoti - La
Repubblica |
Difficile
fare finta che
Uomini che odiano le donne
sia un giallo come un altro e che l'incognita non stia nel paragone con il
bestseller mondiale da cui è tratto. Lo sforzo è, però, opportuno perché
lo specifico filmico pretende non solo passaggi e soluzioni imprevedibili,
ma anche una certa «verginità» e disponibilità da parte degli spettatori.
Ecco dunque il giornalista svedese Mikael Blomkvist, direttore e animatore
della rivista «Millennium», alle prese con l'insolito incarico di
detective conferitogli da un vecchio membro del clan capitalistico dei
Vanger. Si tratta di capire come e perché la dolce nipotina Harriet si sia
letteralmente volatilizzata quarant'anni prima, nel clou di una giornata
particolare vissuta dall'edenica isola di proprietà della famiglia: benché
il suo corpo non sia stato mai ritrovato, lo zio è sicuro che sia stata
assassinata da uno dei numerosi, misteriosi e snaturati congiunti. Il
nostro eroe si ritroverebbe peraltro a malpartito, se non si ritrovasse al
fianco Lisbeth Salander, il più strambo e scomodo degli aiutanti:
magrissima e minuta, androgina e bisessuale, pervasa da tatuaggi e
piercing, piratessa informatica geniale e inafferrabile, la ragazza è
segnata da traumi indelebili che l'hanno resa una mina vagante,
antisociale e persino teppistica, all'altezza cioè della sconcia brutalità
dei nostri tempi... Il film, nonostante l'imbarazzante lunghezza di
centocinquanta minuti, è tenuto bene in mano dallo sconosciuto regista
N.A. Oplev: anche perché funziona l'invenzione n°1 nonché il motore
dell'intreccio, l'attrice Noomi Rapace che si batte come una belva sia
contro i maschi malvagi che contro i meandri di Internet. Una connotazione
estremista che conforta l'originalità del film e sostiene le figure più
sbiadite dell'investigatore per caso e dei suoi nemici ricchi, maschilisti
e nazistoidi; così come i gelidi paesaggi nordici, ancorché già sfruttati
da analoghi film di genere (Il senso di
Smilla per la neve), aggiungono il giusto
contrappunto alla serie di acmi sadiche, sanguinarie o semi-hard. Dove il
discorso non torna è nell'incisività delle «motivazioni» sparse a piene
mani tra le piste collaterali, che fatalmente sminuiscono i colpi di scena
finali e riportano alla debolezza dell'approccio europeo rispetto agli
omologhi thriller americani (Seven).
A questo punto dobbiamo gettare la maschera e correre il rischio,
dichiarando che se il film nel complesso regge, è proprio perché sfronda
parecchio il libraccione del defunto Stieg Larsson: assai ben congegnato,
ma alquanto sfiancante nel suo trito e ossessivo leitmotiv «antiborghese». |
Valerio Caprara -
Il Mattino |
cinélite
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