Inopportuno o del tutto tempestivo? Proprio a ridosso della strage di Beslan ecco il film-documentario finlandese Melancholian Kolme Huonetta: "i tre stati della melanconia". Sullo sfondo c’è proprio il conflitto in Cecenia e il primo “stato” si identifica con la nostalgia. L’occhio della cinquantasettenne Pirjo Honkasalo si posa sull’isola-fortezza di fronte a San Pietroburgo, la cui accademia militare ospita ragazzi russi orfani di guerra. I cadetti, impeccabili nelle loro divise, sfilano, fanno impettiti il saluto, marciano al passo. Giocano sulla neve, scherzano in camerata, poi lottano imparando l’attacco con fucile e il corpo a corpo, partecipano alle funzioni religiose, parlano delle vacanze, al telefono, coi parenti lontani, in televisione assistono ai reportage dell’attentato del 2002 nel teatro di Mosca. La macchina da presa indugia sui loro movimenti calibrati, sta a ridosso dei loro volti: traspare il sorriso entusiasta della giovinezza, ma la sguardo è indurito da una vita sofferta, da un addestramento che prepara a confrontarsi con il nemico vicino di casa. Ed è lì che alberga il secondo stato, il respiro. Quello ansimante, soffocato e privo di speranza di una Grozny piegata dai bombardamenti, ripresa cinematograficamente in un asciutto bianco e nero. Case distrutte, condomini diroccati, strade invase da macerie. Uomini e donne col viso segnato dall’incertezza, vecchi solitari e ragazzi che giocano alla guerra in spazi con cui la guerra ha giocato pesantemente. Miseria e malattie, la sofferenza degli adulti e le lacrime dei bambini. Una donna cecena, Xhadizhat, si dedica ai piccoli rimasti senza genitori, li carica sul pullman, li porta in un orfanotrofio della repubblica di Inguscezia a quattro km dal confine. Verdi colline e pascoli di pecore sono la cornice del terzo stato, quello del ricordo. Anche qui, sui televisori scorrono le immagini sconvolgenti del terrorismo, ma negli occhi degli orfani, nella loro memoria, il male ha le sembianze dei soldati russi, delle loro devastazioni, delle loro violenze, dei loro stupri. Il nemico è un’entità soggettiva, solo la tragedia della guerra ha un’oggettività straziante. E, come dichiara la regista: “L’Europa è piena di persone che hanno bisogno di tolleranza per spegnere una rabbia giusta che gli si rivolta contro. La vita non è un tribunale, la giustizia non prevale, la vita sì. Scardinare le icone del nemico vuol dire accettare la tolleranza insieme al senso del giusto, affrancarsi dal bisogno di odiare.” Un cinema-documento di urgente attualità. |
ezio leoni - Il Mattino Padova 9 settembre 2004 |