Diffidate dai remake. Non sempre, ma certamente
nel caso di The Getaway
e Trappola d'amore,
attualmente in programmazione. Cos'è, in gergo cinematografico un
remake? Altro non è che il rifacimento di un film antecedente
di cui ricalca, più o meno fedelmente il soggetto.
Getaway! (1972) fu uno dei cult-movie
del regista americano off-Hollywood Sam Peckinpah: un professionista della
rapina, riusciva ad uscire dal carcere grazie all'intercessione (?!) della
bella moglie presso un potente boss della malavita. Dopo un nuovo colpo
la coppia spera di lasciare tranquillamente gli States ma tradimenti, gelosie,
agguati complicano il loro futuro e li coinvolgono in una fuga disperata
e sanguinaria. Due interpreti d'eccezione (Steve MacQueen e Ali MacGraw)
ed una regia asciutta, incisiva conferirono al film un alone di sublimata
eccentricità, che all'iperbole della violenza contrapponeva un bonario
lieto fine.
Il nuovo The Getaway, diretto dal mestierante Roger Donaldson e
con la coppia "da botteghino" Kim Basinger-Alec Baldwin, ricalca
fedelmente l'originale ma dimostra come il cinema non sia solo un fatto
di trama e professionalità tecnica: all'essenzialità "sporca"
dello stile di Peckinpah corrisponde una ridondanza di precisione formale
e di argomentazioni narrative che tolgono ogni fascino e spezzano il ritmo.
Il rimpianto per il cinema
intenso degli anni 70 viene ribadito dalla stucchevole pretenziosità
di Trappola d'amore, rivisitazione, anch'essa pedissequa, di un
classico del cinema intimista francese di vent'anni fa, L'amante
di Claude Sautet, in vena di grazia nel dirigere un tormentato Michel Piccoli
ed una splendida, indimenticabile Romy Schneider. Nel volgere degli interminabili
secondi che cadenzavano un rocambolesco incidente stradale, un uomo, Pierre,
ripensava al proprio passato, riviveva in un continuo flash-back la proprie
insoddisfazioni esistenziali, il matrimonio fallito, l'incontro con la
dolce Hélène (l'amante del titolo italiano). Pierre
sentiva la vita sfuggirgli e, immerso nella nostalgia dei ricordi ( Le
chose de la vie del titolo originale) come in un mare accogliente,
lasciava allontanarsi con serenità la vela dei rimpianti e il soffio
del vivere, siglando una delle tappe della sensibilità autoriale
di Sautet.
La trasposizione hollywoodiana di Mark Rydell vede il divo Richard Gere
raggiungere i limiti dell'insopportabilità nella sua insulsaggine
recitativa, la descrizione leziosa di una borghesia ricca e fatua allontana
qualsiasi partecipazione emotiva e, tra l'altera freddezza di Sharon Stone
e le romanticherie un po' sguaiate di Lolita Davidovich, non siamo neanche
tanto convinti che il bel Richard sappia fare le scelte giuste in fatto
di donne. In ogni caso non ce ne importa nulla.
e.l. La
Difesa del Popolo 8/5/94
|