Tanguy
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da Film Tv (Enrico Magrelli)
La nascita di un figlio è una Rivoluzione e Paul ed Edith Guetz, estasiati al loro esordio come genitori, vorrebbero che il pargolo rimanesse con loro per tutta la vita. Tanguy, intorno ai trent'anni, brillante, diligente, consulente del ministro, master in filosofia, con un giapponese fluente, una tesi di cinese da consegnare e un futuro impiego a Pechino, li prende alla lettera e vuole battere Proust, rimasto con i suoi fino a 35 anni. Proverbi orientali, colazioni nella grande cucina, fidanzate provvisorie e storiche che si alternano nel letto, invasione morbida alle feste e alle cene con amici di mamma e papà. Recita il saggio cinese: "Una volta che la chiami mamma, resta mamma per sempre". Edith, agitata, si sfoga dall'analista, ha un singhiozzo-rigurgito sintomatico. Il figlio, con molti sensi di colpa, le sta sullo stomaco e insieme al marito prima cercano di disgustarlo con dispetti d'ogni genere (i genitori moderni potrebbero trarne ispirazione) e poi gli impongono ritmi, pasti, baby-sitter come se Tanguy fosse un bambino. Finiscono in tribunale e dall'Oriente arriverà la soluzione. Partito il figlio, resta, però, una nonna da accudire. Garbata, deliziosa, frizzante commedia borghese sul conflitto degli affetti. Più sociologica che psicologica. Più sagace fondo di costume che elzeviro snob. Eccellenti gli attori e accorta la regia.
da La Stampa (Alessandra Levantesi)
Sullo spunto di un soggetto ispirato a un fatto di cronaca italiano, con Tanguy il regista Etienne Chatiliez (quello di La vita è un lungo fiume tranquillo) ha scritto e diretto un film divertente che si impone nel contempo come una lezione sull'arte della commedia. Avendo avuto Molière, i francesi fanno tesoro ancora oggi di quel suo modo di assumere un tema sociale serio (l´avarizia, la malattia immaginaria, l´educazione delle ragazze) e trasformarlo in una cosa da ridere. E´ di scena il problema, attualissimo, dei giovani che restano attaccati alla casa a vita. Proprio come nella fortunata miniserie tv E non se ne vogliono andare (1988) con Turi Ferro e VirnaLisi. Se però Giorgio Capitani aveva scelto la strada di un sorridente realismo all´italiana, Chatiliez sconfina nell'ambito del paradosso. L´ormai trentenne Tanguy (Eric Berger) è ineccepibile in tutto: nei suoi brillanti studi di orientalista, nell'educazione e nell´attaccamento per i genitori. Ma, al pari di molti figli, considera la casa come un albergo dove andare e venire a piacimento magari accompagnato dalla ragazza di turno; e Edith (Sabine Azema) e Paul (André Dussollier) non ne possono più, lei soprattutto, di questa presenza diventata ingombrante. Così decidono di mettere in opera una serie di dispetti e angherie per far capire al rampollo che è tempo di fare il nido altrove. Ci vuol altro, però, per scuotere l´imperturbabile Tanguy, che a un certo punto (ed è l´acme della crisi) decide di rimandare di un anno e mezzo la sua attesissima partenza per la Cina. Qui il racconto va pericolosamente sopra le righe, un po' nel gusto provocatorio dei film di Marco Ferreri, con sviluppi grotteschi della faccenda che finisce in tribunale. Tuttavia, anziché incrinarsi, il gioco tiene bene anche perché affidato a due virtuosi della recitazione umoristica quali Dussollier e la Azema, ben sostenuti dal giovane Berger e dagli altri. Annunziato da folate di musica cinese, il finale ai piedi della Grande Muraglia è rassicurante: la vita è davvero un fiume tranquillo e porta sempre da qualche parte.
LUX-TORRESINO marzo-aprile 2002