Slam |
da La Repubblica (Roberto Nepoti)
Si è guadagnato un medagliere prestigioso
Slam, debutto nel lungometraggio di fiction del documentarista Marc
Levin: premio della giuria al Sundance Film
Festival, Caméra d'Or a Cannes, primo premio al Noir di Courmayeur.
E lo ha meritato perché, con l'eccezione di un'ultima parte un po'
troppo edificante, è un film civilissimo, pieno di energia, che
riesce a far convivere uno stile scabro da cinema-verità con alcune
forti emozioni prodotte dal racconto. Che è quello della discesa
agli inferi di Raymond Joshua, giovane che vive in un quartiere del ghetto
nero di Washington spacciando un po' di foglie d'erba e componendo slam
(sconosciuto dalle nostre parti, lo slam è una forma di poesia
basata su un flusso continuo di parole, a cavallo tra il rap, il
flusso di coscienza e la libera associazione).
Quando un suo amico dealer viene abbattuto a colpi di pistola, Ray finisce
in carcere: la condanna riguarda solo la detenzione di marijuana, però
ragioni elettorali esigono che sia esemplare. Nell'universo della forza
bruta, il poeta pacifista è premuto dalle diverse gang in guerra
permanente. Rifiutare di schierarsi potrebbe costargli la vita; ma, in
una sequenza di grande intensità drammatica, Ray contrappone alla
violenza fisica la violenza lirica e lacerata dei suoi versi, con un effetto-sorpresa
che fa breccia nella scorza dei duri carcerati. Il ragazzo si conquista
anche l'amore di Lauren, giovane donna che insegna a scrivere ai detenuti
analfabeti; ma, alla fine del film, la sua storia di riscatto è
appena all'inizio e Levin ci fa intendere che sarà lunga e dolorosa.
Elegante nei gesti e ispirato nelle parole, Saul Williams-Joshua porta
in qualche misura sullo schermo se stesso, essendo uno degli esponenti
più significativi della poesia "off" americana d'oggi.
L'intreccio tra vita e finzione contribuisce al senso di autenticità
di un film dove tutto appare molto vero, dai degradati quartieri suburbani
di una capitale che ama apparire sotto ben altra immagine, agli interni
carcerari, molto meno convenzionali della media cinematografica. Slam
non è un film comune: consigliarlo, uso antidoto contro l'overdose
degli artifici hollywoodiani, ci sembra quasi doveroso.