Serviva un
monumento d'autore, 38 anni dopo quello che girò Jean Luc Godard, per
fissare definitivamente la leggenda "live" dei Rolling Stones. E nessuno
poteva costruirlo meglio di
Scorsese.
Gino Castaldo - La
Repubblica
cinélite
TORRESINO
all'aperto:
giugno-agosto 2008
Shine a Light
coglie la band
in un concerto, al Beacon Theatre di NewYork, ambiente insolitamente
intimo per la band, con Bill e Hilary Clinton ospiti d'eccezione, e Keith
Richards che lancia alla camera la folgorante battuta: "I'm bushed",
che vuole dire sono stanco morto, ma il gioco di parole è più che
evidente. Jagger arriva in scena con un fracchettino aperto su una camicia
rossa e scatena le danze attaccando Jumping Jack Flash.
Il film è un'immersione totale e incredibilmente dettagliata del concerto.
Grazie a un profluvio di camere (diciassette per l'esattezza) la
performance è sezionata al microscopio. Non sfugge nulla, non sfuggono le
rughe dei quattro Stones, le loro maschere iconiche, come se più di
quarant'anni di musica avessero scavato in quei volti l'essenza del
rock-blues. Non sfuggono dita e occhi, volti sudati, non sfugge la
luccicante patina degli strumenti elettrici, non sfuggono le espressioni
dei quattro e dei loro ospiti: Jack White, Buddy Guy e Cristina Aguilera.
Charlie Watts è come al solito il più distaccato, Jagger è scintillante e
funambolico, Ronnie Wood e Keith Richards si beano di riff e assolo come
se fosse il massimo godimento concesso dalla vita. Di tanto in tanto
vecchi filmati di repertorio, ci restituiscono gli Stones giovani,
beffardi, estaticamente strafatti. Il montaggio è vorticoso, instancabile,
esprime e moltiplica l'energia sul palco, descrive l'eccitazione del rock,
ben lontano dallo sguardo più pacato ed elegiaco scelto da Scorsese per
The Last Waltz. In alcuni episodi
la regia è sublime. L'effetto più interessante è che il missaggio della
musica cambia, mette in evidenza quello che la camera inquadra, come se
fossero zoomate sonore. Così che risalta ora la voce di Mick, ora il riff
magnificamente sporco di Keith. E l'intenzione è chiara. Il pubblico si
percepisce poco, è una quinta quasi sfocata, la camera è sul palco indaga
"da dentro", è presente, come se fosse il quinto elemento degli Stones e
infatti a concerto finito esce in soggettiva, raccoglie flash e applausi,
incontra Scorsese all'uscita e vola via in alto, a inquadrare una New York
di notte con una enorme luna che piano piano diventa la linguaccia degli
Stones.