Inge
(Ursula Werner) vive da trent'anni con Werner (Horst Rehberg). Sono una
coppia di normalissimi pensionati. Lei ha una figlia da un precedente
matrimonio (quindi Werner non è suo padre) e un paio di belle nipotine.
Per arrotondare, fa piccoli lavori di sartoria. Il film si apre con una
scena in cui Inge riporta al vicino Karl (Horst Westphal) un paio di
pantaloni accomodati. Pochissime parole, un gioco di sguardi: i due si
baciano, si spogliano, fanno l'amore. Sembra un raptus passeggero, ma pian
piano, nelle sue monotone giornate, Inge scopre di pensare sempre più
spesso a Karl. Si è, in poche parole, innamorata di lui. Ne parla con la
figlia, che la capisce e le consiglia di non dire nulla a Werner. Ma Inge
non regge, si apre con il marito: il quale inizialmente la piglia
malissimo. Inge se ne va dì casa, pronta a ripartire da zero, forse a
vivere con Karl: Werner sembra accettare la prospettiva della solitudine,
ma non è facile dopo trent'anni di convivenza...
Alberto Crespi
- L'Unità
Avete
detto gerontocrazia? Già, gerontocrazia. È una parola che in Italia usiamo
spesso, con acidità malcelata. Guardateli un po' questi vecchi. Hanno
tutto: soldi, potere, rispetto. Ma ne siamo proprio sicuri? Le prime scene
di Settimo
cielo,
grande successo anche di pubblico in Germania, dicono una cosa diversa. I
"vecchi" avranno tutto ma gli manca qualcosa di fondamentale per esistere.
La visibilità. Il diritto di essere guardati. L'attenzione.
Fabio Ferzetti - Il Messaggero
cinélite
TORRESINO
all'aperto:
giugno-agosto
2009
Il regista Andreas Dresen è un 46enne nato nella fu Rdt, con un lungo
curriculurn cine-televisivo su entrambi i lati del Muro.
Settimo cielo
è stato uno dei «casi» del festival di Cannes nel 2008 (sezione Un
certain regard) e da allora ha partecipato praticamente a tutti i
festival del mondo. Tale popolarità deriva naturalmente dal «tema», perché
il sesso al cinema è tranquillizzante solo se praticato da giovani belli e
famosi. Ma la visione del film, pur qua e là perturbante, sgombra subito
il campo da ogni equivoco pruriginoso:lo stile di Dresen e la bravura
sotto traccia degli attori lo rendono quotidiano, e i problemi: se ci sono
- stanno tutti nello sguardo di chi osserva (come dire: se provate
l'effetto-buco della serratura è colpa vostra, non dei personaggi). Dresen
gira in stile-Dogma: ambienti veri, luci realistiche, niente musica in
colonna sonora (tranne i brevi momenti in cui Inge canta in un coro con le
amiche), recitazione naturalistica. Il finale potrebbe essere considerato
troppo punitivo, e ben poco «femminista», ma più verosimilmente cattura
una realtà sociale in cui il binomio amore/vecchiaia è ancora percepito
come una trasgressione. È un piccolo film doloroso in cui l'amore è
insopprimibile, ma non trionfa. Un'iniezione di verità.
Chi perde tempo a guardare i volti e i corpi dei vecchi, se non per
lavoro? Nella cattolicissima (?) Italia non esser più giovani è una
vergogna se non una colpa. Come in tutto l'Occidente. Ma per fortuna ogni
tanto un piccolo grande film rimette le cose in sesto. Nato in Germania
Est nel 1963, premiato nei festival di mezzo mondo, Andreas Dresen, ha il
dono discreto ma decisivo di far suonare le cose giuste. E nello
"scandaloso" Settimo cielo tutto è semplice, crudo, efficace, intonato. Il
colpo di fulmine che butta uno nelle braccia dell'altra il 76enne Karl e
la sua quasi coetanea che fa lavori di sartoria a domicilio, è improvviso
e inspiegabile come tutti i colpi di fulmine. I gesti dell'amore,
impudichi e precisi come sempre. Anche se le pance sono gonfie, i seni
pendono, le rughe si vedono tutte, Karl e Inge celebrano il loro incontro
con entusiasmo e stupore da giardino dell'Eden.
E così è tutto il resto perché l'impetuosa Inge è felicemente sposata da
trent'anni con un coetaneo che ha cresciuto la sua figlia di primo letto.
Ma si può rinunciare a una passione che probabilmente sarà l'ultima?
Alternando con miracolosa semplicità dramma e umorismo, gravità e
leggerezza, Dresen segue i suoi magnifici attori con un misto di
trepidazione e complicità che trova sempre l'immagine o la parola giusta.
Un albero svettante e certamente vecchissimo, una polemica sul tema se
siano più belli i paesaggi visti dal treno o dalla bicicletta, una furiosa
masturbazione nella vasca da bagno, un'ultima volta insieme a cantare con
tutta la famiglia, ed eccoci dentro Inge, i suoi ardori, i suoi dilemmi.
Mentre il coro di anziane signore con cui si esercita scandisce come in
"soggettiva" (quanta malinconia in quell'Inno alla Gioia)
l'evolvere inesorabile del racconto. È il tema più antico del mondo, eros
o agapé, intimità o passione, il brivido dell'ignoto o il calore della
cerchia familiare. Dev'essere per questo che con personaggi di questa età
fa così male.