Settimo cielo (Wolke 9)
Andreas Dresen – Germania  2008 - 1h 38'

  Inge (Ursula Werner) vive da trent'anni con Werner (Horst Rehberg). Sono una coppia di normalissimi pensionati. Lei ha una figlia da un precedente matrimonio (quindi Werner non è suo padre) e un paio di belle nipotine. Per arrotondare, fa piccoli lavori di sartoria. Il film si apre con una scena in cui Inge riporta al vicino Karl (Horst Westphal) un paio di pantaloni accomodati. Pochissime parole, un gioco di sguardi: i due si baciano, si spogliano, fanno l'amore. Sembra un raptus passeggero, ma pian piano, nelle sue monotone giornate, Inge scopre di pensare sempre più spesso a Karl. Si è, in poche parole, innamorata di lui. Ne parla con la figlia, che la capisce e le consiglia di non dire nulla a Werner. Ma Inge non regge, si apre con il marito: il quale inizialmente la piglia malissimo. Inge se ne va dì casa, pronta a ripartire da zero, forse a vivere con Karl: Werner sembra accettare la prospettiva della solitudine, ma non è facile dopo trent'anni di convivenza...
Il regista Andreas Dresen è un 46enne nato nella fu Rdt, con un lungo curriculurn cine-televisivo su entrambi i lati del Muro.
Settimo cielo è stato uno dei «casi» del festival di Cannes nel 2008 (sezione Un certain regard) e da allora ha partecipato praticamente a tutti i festival del mondo. Tale popolarità deriva naturalmente dal «tema», perché il sesso al cinema è tranquillizzante solo se praticato da giovani belli e famosi. Ma la visione del film, pur qua e là perturbante, sgombra subito il campo da ogni equivoco pruriginoso:lo stile di Dresen e la bravura sotto traccia degli attori lo rendono quotidiano, e i problemi: se ci sono - stanno tutti nello sguardo di chi osserva (come dire: se provate l'effetto-buco della serratura è colpa vostra, non dei personaggi). Dresen gira in stile-Dogma: ambienti veri, luci realistiche, niente musica in colonna sonora (tranne i brevi momenti in cui Inge canta in un coro con le amiche), recitazione naturalistica. Il finale potrebbe essere considerato troppo punitivo, e ben poco «femminista», ma più verosimilmente cattura una realtà sociale in cui il binomio amore/vecchiaia è ancora percepito come una trasgressione. È un piccolo film doloroso in cui l'amore è insopprimibile, ma non trionfa. Un'iniezione di verità.

Alberto Crespi - L'Unità

  Avete detto gerontocrazia? Già, gerontocrazia. È una parola che in Italia usiamo spesso, con acidità malcelata. Guardateli un po' questi vecchi. Hanno tutto: soldi, potere, rispetto. Ma ne siamo proprio sicuri? Le prime scene di Settimo cielo, grande successo anche di pubblico in Germania, dicono una cosa diversa. I "vecchi" avranno tutto ma gli manca qualcosa di fondamentale per esistere. La visibilità. Il diritto di essere guardati. L'attenzione.
Chi perde tempo a guardare i volti e i corpi dei vecchi, se non per lavoro? Nella cattolicissima (?) Italia non esser più giovani è una vergogna se non una colpa. Come in tutto l'Occidente. Ma per fortuna ogni tanto un piccolo grande film rimette le cose in sesto. Nato in Germania Est nel 1963, premiato nei festival di mezzo mondo, Andreas Dresen, ha il dono discreto ma decisivo di far suonare le cose giuste. E nello "scandaloso" Settimo cielo tutto è semplice, crudo, efficace, intonato. Il colpo di fulmine che butta uno nelle braccia dell'altra il 76enne Karl e la sua quasi coetanea che fa lavori di sartoria a domicilio, è improvviso e inspiegabile come tutti i colpi di fulmine. I gesti dell'amore, impudichi e precisi come sempre. Anche se le pance sono gonfie, i seni pendono, le rughe si vedono tutte, Karl e Inge celebrano il loro incontro con entusiasmo e stupore da giardino dell'Eden.
E così è tutto il resto perché l'impetuosa Inge è felicemente sposata da trent'anni con un coetaneo che ha cresciuto la sua figlia di primo letto. Ma si può rinunciare a una passione che probabilmente sarà l'ultima? Alternando con miracolosa semplicità dramma e umorismo, gravità e leggerezza, Dresen segue i suoi magnifici attori con un misto di trepidazione e complicità che trova sempre l'immagine o la parola giusta. Un albero svettante e certamente vecchissimo, una polemica sul tema se siano più belli i paesaggi visti dal treno o dalla bicicletta, una furiosa masturbazione nella vasca da bagno, un'ultima volta insieme a cantare con tutta la famiglia, ed eccoci dentro Inge, i suoi ardori, i suoi dilemmi. Mentre il coro di anziane signore con cui si esercita scandisce come in "soggettiva" (quanta malinconia in quell'Inno alla Gioia) l'evolvere inesorabile del racconto. È il tema più antico del mondo, eros o agapé, intimità o passione, il brivido dell'ignoto o il calore della cerchia familiare. Dev'essere per questo che con personaggi di questa età fa così male.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2009