Rosa e Cornelia |
da La Repubblica (Irene Bignardi)
La maternità come grande forza, grande debolezza, legame fortissimo che unisce le donne. La maternità non voluta (e poi amata) come peso sociale che cade sulle spalle troppo fragili delle ragazze - con quel che ne segue. Il sesso vissuto (felicemente) come istinto o (ciecamente) come abbandono femminile, a seconda del condizionamento della classe sociale... Sarebbero molte le possibili chiavi di lettura "moderne" di Rosa e Cornelia, il film che Giorgio Treves, un regista affascinato dal passato (il suo primo film , La coda del diavolo, era ambientato nel più cupo Medioevo), ha tratto da L'attesa di Remo Binosi, una tragedia a due voci che venne messa in scena dalla regista Cristina Pezzali alternando sera dopo sera Elisabetta Pozzi e Maddalena Crippa. Le due attrici si alternavano nei ruoli di Cornelia, la giovane aristocratica veneziana che si ritrova improvvisamente incinta dopo aver ceduto, in una notte del carnevale 1748, a un fascinoso Casanova di passaggio, e di Rosa, la servetta, altrettanto inguaiata ma molto più felice e memore di quanto di bello c'è stato nel suo rapido incontro amoroso, tutte e due chiuse in una villa veneta in attesa del non tanto lieto evento, che si carica, in questo Settecento libertino ma non libertario, di tragedia. In questa distribuzione teatrale, che il cinema non ha potuto osare (forse una soluzione l'avrebbe inventata Bunuel, che con lo sdoppiamento dei suoi personaggi femminili si è misurato) stava un'altra suggestione in più: che di fronte a certi momenti della vita femminile l'identità si confonde. Ma la bravura delle due interpreti del film, Chiara Muti nel ruolo della imperiosa e poi dolente Cornelia, che rimuove il suo "peccato" svenendo al momento opportuno, e Stefania Rocca in quella di una Colombina sexy, capace di fantasticare sui propri amori con rinnovato piacere, non lascia rimpianti - anche se, noi spettatori di una cinematografia che , salvo eccezioni al Sud, non ha tradizioni dialettali autentiche, possiamo restare per un attimo spiazzati davanti al veneto goldoniano delle due fanciulle, per non dire a quello della bravissima nutrice Athina Cenci, con la sua maestosa e dolente umanità . Giorgio Treves ha ambientato il film in una villa veneta di tiepolesca bellezza, compiendo qualche calcolato (e concordato) tradimento sull'originale: così fa comparire nel film una severa e implacabile Daria Nicolodi, la madre di Cornelia, che avendola destinata a un duca francese, vuole a ogni costo togliere di mezzo il problema di questo bambino indesiderato e restituire la figlia al suo destino aristocratico, aggiunge il custode della villa, un po' intrigante e un po' voyeur, opportunamente bruno e sexy, e trasforma Casanova in un misterioso signore mascherato senza nome. Ma questa cronaca di una dolorosa presa di coscienza si gioca sulle tre donne, e soprattutto sulla tensione - prima disprezzo, diffidenza, aggressività, poi amicizia, tenerezza, identificazione ai due estremi della scala sociale - di Rosa e Cornelia (ma non lasciatevi ingannare da quel bacio che campeggia sui manifesti: si tratta proprio di affetto, dei frutti del fantasticare). In un film che si segue con curiosità, con partecipazione, affiora, ogni tanto, nel tessuto elegante del lavoro, un residuo teatrale, un sapore artificiale: ma che non sia un "prodotto" qualsiasi lo testimonia il disagio con cui ti lascia.
scheda
CGS settembre 2000
[TORRESINO]