La tragedia della guerra e le
lacerazioni dell'animo. Inizia così la British
Renaissance che con Regeneration affronta temi
e atmosfere di cupa angoscia. 1917, fronte francese. La
macchina da presa inquadra dall'alto il campo di
battaglia, scorre sui corpi sparsi sul terreno, corpi di
morti, di feriti, di soldati in tricea. Più che l'orrore
è l'omologazione ad esseri sperduti in un bagno di fango
e disperazione. Uomini sconvolti sull'orlo della follia,
ma anche ufficiali nauseati dal funesto, assurdo
protrarsi delle ostilità E' il caso del poeta Siegfried
Sassoon, già eroe di guerra, che scrive una veemente
dichiarazione contro il cinismo dei politici, incapaci di
fermare il massacro di vite umane. Per evitargli la corte
marziale viene anche lui ricoverato in un ospedale
scozzese di igiene mentale dove il dott. Rivers cura i
suoi pazienti con umanità e dedizione totale. A lui sono
affidati il soldato Prior, traumatizzato fino al mutismo
ed ostinatamente deciso a tornare a combattere e Wilfred
Owen che trova proprio in Sassoon la guida per scoprire
il proprio talento poetico.
Il film di Mackinnon riprende fedelmente il romanzo di
Pat Barker, che a sua volta si rifaceva ad eventi reali
del primo conflitto mondiale. La composizione narrativa
si sviluppa attraverso una descrizione di personaggi tesa
e cupa come l'ambiente che li incornicia. Nel paesaggio
scozzese, uggioso e solitario, al dramma dei pazienti si
accompagna quello di Rivers. Lo psichiatra saprà curare
le loro ferite invisibili, ma nulla potrà contro il
destino di morte che ancora attende tanti soldati
britannici. Sassoon si convincerà a tornare al fronte e
anche Owen porterà la sua poesia in battaglia. Gli
ultimi suoi versi citano la Bibbia e parlano di un Abramo
che non vuole immolare (quale agnello-sacrificale) il
proprio orgoglio e preferisce lasciar impietosamente
morire il suo Isacco... Se il rigore e la trattenuta
commozione sono il pregio incontestabile di Regeneration,
il lavoro di Mackinnon (The
Playboys, Small Faces) risulta purtoppo nel suo insieme
pesante, opprimente come la sua materia, privo di quella
scintilla vitale che dovrebbe sublimare la retorica del
phamphlet.
Traumi e disperazione, ma stavolta in
ambiente familiare sono la sostanza anche di Under the
Skin, in cui l'esordiente Carine Adler urla lo
sgomento della giovane Iris, che dopo la morte della
madre è tormentata da un sordo dolore che si affianca
alla gelosia d'affetti per la sorella maggiore Rose. Lo
sfogo di Iris è fatto di solitario abbandono, di sesso
sfrenato (raccontato con (r)proprietà di linguaggio
dalla protagonista), ma Irsis, nel suo progressivo
abbrutimento riesce alfine a trovare le coordinate del
proprio esitere (sarà un anello, lasciato dalla madre a
far da chiave di volta nelle rivalità tra le sorelle) e
il lieto fine di Under the Skin riesce a
coniugarsi credibilmente con il deflagrante dramma
iniziale. e.l. Il Mattino di Padova 30/9/ 1997
|