Rapa Nui
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Rapa Nui, cioè l'"ombelico
del mondo", ovvero l'Isola di Pasqua. Kevin Reynolds, ovvero il regista
favorito di Kevin Costner (Fandango,
Robin Hood Principe dei ladri).
Eppure stavolta Costner compare solo nelle vesti di produttore, ma con
il carisma di chi ha "inventato" Balla
coi lupi ci invoglia a scoprire i misteri
primordiali di quell'isola sperduta, da sempre mitizzata per le gigantesche
teste di pietra che spuntano dal suolo. L'originalità di Rapa Nui poggia tutta sul fascino esotico dei luoghi, sulla imponente simbolicità di quei monoliti ("moai"), sulla precarietà dell'utopia del buon selvaggio. La sceneggiatura (su un soggetto giovanile dello stesso Reynolds) immagina che nel 1600, 42 anni prima dell'arrivo degli esploratori olandesi, l'isola vivesse in mistica attesa della grande canoa bianca che avrebbe fatto migrare la popolazione verso un nuovo mondo, la Terra degli Spiriti. Un'attesa cadenzata da riti tribali gerarchici secondo i quali la gente dai Lunghi Orecchi aveva il predominio sui Corti Orecchi, ai quali era demandato l'improbo compito della costruzione dei moai, "altari" propiziatori presso il dio Hotu Matu'a. A dar lustro alla tribù-padrona contribuiva la gara annuale dell'Uomo-Uccello che di anno in anno proclamava, attraverso il vincitore, il clan dominante. Una realtà di superstizioni, lotte di classe, strazi ecologici, in cui s'innesta una tormentata storia d'amore tra il "nobile" Noro e Ramana, del popolo dei Corti Orecchi... "Vediamo come in questo luogo appartato, quasi un microcosmo, si siano create condizioni simili alla situazione attuale nel resto del mondo. Si poteva pensare che collocando una popolazione in una specie di Eden, tutto sarebbe stato perfetto. Invece in quest'isola si è verificato un esaurimento delle risorse e di conseguenza l'autodistruzione della gente per guerre e violenze tra i clan". Non c'è regista non convinto, non innamorato del suo progetto, ma l'arte cinematografica di Kevin Reynolds, sradicato dal ribellismo triste dei suoi esordi e dalla eroicità sdrucciola degli arcieri di Sherwood, s'inebria solo quando la macchina da presa è a strapiombo sul mare o in bilico sugli altissimi crinali, quando sposa la frenesia competitiva dei suoi protagonisti o quando scruta con ansia esistenziale l'infinita distesa dell'oceano. Menù turistico hollywoodiano di grandi paesaggi e ridondanti avventure rituali, Rapa Nui lascia scarse tracce nel nostro immaginario cinematografico: ancora una volta il misterioso fascino delle teste di pietra dell'Isola di Pasqua resta un mito lontano. e.l. La Difesa del Popolo - 24 settembre 1994 |