La ragazza del lago
Andrea Molaioli - Italia 2007 - 1h 35'
- opera prima -


22° SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA
  Premio Isvema per un film opera prima o seconda

10 David
di Donatello

miglior FILM
miglior regista
miglior regista esordiente
miglior attore protagonista
miglior sceneggiatura (Sandro PETRAGLIA)
miglior produttore (Francesca CIMA - Nicola GIULIANO)
miglior direttore della fotografia (Ramiro CIVITA)
miglior montatore (Giogiò FRANCHINI)
miglior fonico di presa diretta (Alessandro Zanon)
migliori effetti speciali visivi (Paola TRISOGLIO e Stefano MARINONI)

     Breve piano sequenza su un panorama alpestre e verdeggiante, stacco, schermo nero con il nome Toni Servillo scritto bianco al centro e già i due ‘protagonisti’ sono inquadrati. Il film di Malaioli è il giallo che il regista romano (alla sua opera prima dopo circa vent’anni di esperienza come aiuto) trae dal romanzo della norvegese Karin Fossum. Non fiordi allora, ma le valli della provincia friulana (Udine) per raccontare la storia di un omicidio attraverso un abile meccanismo di ‘opposizione’ e ‘compensazione’ (vita-morte, sanità-malattia, giustizia-ingiustizia, verità-falsità… ‘normale’-‘anormale’). La scoperta del cadavere di una bella ragazza, presso la riva del lago avvia le indagini del commissario Giovanni Sanzio (Toni Servillo). Un paese anonimo, un omicidio, il lago, il ‘matto’ Mario e la sua leggenda d’incantesimi (nel lago ci sarebbe un serpente, chi lo guarda cade addormentato: questo è quanto successo ad Anna, secondo Mario), sono solo i primi elementi che introducono lo spettatore in un mondo che si rivelerà affetto da tante ‘anomalie’. La ragazza del lago è tutto un sommarsi di personaggi ‘malati’, tutti palesemente colpiti dalla sventura e il delitto sembra mettere in moto uno strano meccanismo per cui più il commissario indaga, più il complesso intreccio di rapporti rivela i suoi ‘vizi’. Nessun personaggio si salva, tutti sono ‘sbagliati’, ognuno si fa simbolo di un ‘male’, di un malessere intrinseco. L’immagine complessiva dell’opera non precipita però in quel grottesco che tanta abbondanza di anormalità in un paese così spopolato potrebbe suggerire. Il mosaico di personaggi non tende enfatizzare i toni drammatici e a rimarcare quel senso di giustizia perduta, ma nella complessità delle situazioni (che vanno a riequilibrarsi, in uno sguardo d’insieme) e nella costruzione a catena del tema ‘colpa-perdono’, trova il giusto intarsio di sfaccettature per non farne solo inverosimili casi simbolici, per rendere semmai ‘simbolo’ il loro gioco di relazioni. Palesando il difetto, diventa forse più semplice raccontare paure, angosce, rabbia, rancore…
E se la sventura tocca tutti i personaggi, anche il commissario e la sua famiglia non ne vanno immuni: dalla dermatite atipica di lui alle insufficienze a scuola della figlia, fino alla malattia degenerativa della moglie (Anna Bonaiuto). La struttura del giallo e i suoi codici narrativi trovano il loro respiro nella molteplice e multiforme declinazione di temi ‘alti’, a più riprese proposti nell’alternarsi delle singole storie familiari. È l’indagine del commissario a dare logica concatenazione a quest’alternarsi. E se quei temi riescono a non fagocitare la storia, è anche vero che è proprio lo strano omicidio che riesce a mettere in crisi il commissario proprio laddove un ‘tema alto’, quale il ruolo di padre, lo tocca direttamente. Ecco allora che malattia e relazione padri-figli diventano gli strumenti guida dell’indagine. E il commissario Sanzio lo dice subito, solo osservando la posizione del corpo morto di Anna: “…qui ci stanno di mezzo i sentimenti”. I sentimenti in un mondo di ingiustizia, il loro rispondere a questa ingiustizia, il saper capire tali risposte sono tutto ciò che porteranno alla soluzione del caso, ma che nello stesso tempo portano il film al di là di questa… Sia anche solo alla purezza di un sorriso, il sorriso di una madre donato, senza rendersene conto, alla propria figlia.
Attore convincente, un po’ macchietta un po’ ‘volto sulla maschera’, Toni Servillo è abile a giocare tra i registri, smorza e ravviva la tensione combinando umorismo e serietà senza dare allo spettatore il tempo di sciogliere l’ambiguità. E per rispettare la tensione delle immagini Malaioli sceglie spesso il contrappunto visivo-musicale: il rumore del silenzio si avverte quando basta l’immaginazione a riempire le nostre orecchie; di rimando la musica, sempre attentamente calibrata, riempie l’immagine laddove il silenzio farebbe crollare la tensione. È al montaggio musicale che è richiesto di non ‘tradire’ l’atmosfera del giallo….

Erica Buzzo - MC magazine 20  settembre 2007

cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2008