Bisogna rassegnarsi. La mentalità-cartoon
che ha accompagnato la generazione degli adulti di oggi ormai è
superata: superato è il concetto di favola rasserenante, sbiadita
la vena romantica di intrecci narrativi e motivi musicali, accantonata
la cornice elegiaca di castelli e foreste, resi frenetici (e drammatici)
tono e ritmo del racconto. Questo è almeno ciò che scaturisce
dalla visione di Mulan
e Il principe d'Egitto,
i due grandi cartoni USA di questo Natale 98 (ma l'arrivo dell'italiano
La gabbianella e il gatto
dovrebbe ricomporre in parte gli equilibri) che mettono a confronto due
grandi scuole di illustratori/animatori: da una parte la tradizione Disney
che al 36° lungometraggio della sua storia affronta l'epica guerresca
in terra cinese, dall'altra l'intraprendenza produttiva della Dreamworks
di Spielberg e soci che osa nientemeno che la trasposizione della figura
biblica di Mosè e dell'esodo del popolo ebraico.
L'ambizione de Il principe d'egitto
è infatti quella di configurarsi, ancor più dei recenti cartoon
anni '90, come un prodotto "adulto", certo
non esclusivamente diretto ad un pubblico maturo, ma costruito con la sintassi
e il respiro di un vero colossal alla Cecil B. De Mille. E l'impatto visivo
ne è davvero all'altezza. Dallo
struggente abbandono del neonato in una cesta in balia del Nilo alla maestosità
della costruzione di sfingi e piramidi, dall'incalzante sfida sulle bighe
tra il giovane Mosè e il fratello Ramses alle grandiose scene di
massa che conducono gli schiavi ebrei verso la libertà. Il taglio
delle inquadrature è di sorprendente modernità, il montaggio
frenetico e ricercato (efficacissima la concentrazione in pochi minuti
del crescendo delle piaghe bibliche), i tratti del disegno di una compiutezza
figurativa straordinaria. Le citazioni pittoriche vanno da Monet a Doré,
la cui influenza si evidenzia nella sequenza finale del passaggio del Mar
Rosso, con il cupo incombere delle pareti d'acqua e il rosseggiare delle
colonna di fuoco. L'impostazione religiously-correct è tassativa
(il controllo "dogmatico" di sacerdoti, rabbini e teologi è
stato costante), non mancano musiche e canzoni, a cadenzare con (ridondante)
puntualità l'evolversi della vicenda, l'intensità di volti
e situazioni non teme il confronto con la forza interpretativa del "cinema
in carne ed ossa". Eppure, alla distanza, sopraggiungono l'estetismo
e la noia: sarà che conosciamo troppo bene la storia, sarà
che Chapman, Hickner e Wells (addirittura tre registi per l'occasione)
sembrano prendere troppo sul serio l'avventura delle loro figurine bibliche,
sarà che con tutta l'enfasi della fedeltà al racconto dell'Esodo
(c'è perfino il roveto ardente) l'anima teologica de Il principe
d'Egitto è di scontata freddezza hollywoodiana… Una delle tante
"leggende" a cartoni animati, di grande effetto, di scarsa emozione.
In
linea con la classica rivisitazione disneyana (che riedita fiabe e racconti
di ogni paese secondo la propria tradizione narrativa) Mulan (accento
sulla "a", mi raccomando!) riesce invece ad avvincere e divertire
ribadendo l'efficacia dello schema avventura+divertimento, intreccio+gag
che trova energia non solo nei protagonisti, ma anche nei personaggi di
contorno, per lo più animali dotati di parola e di effervescente
verve caricaturale. Qui,
nella storia di una ragazza cinese che si arruola al posto del padre nella
guerra contro gli Unni invasori, gli indimenticabili co-protagonisti sono
il grillo portafortuna Cri-cri (eccezionale la sua performance come ticchettante
macchina da scrivere) e il draghetto Mushu che catalizza l'attenzione schermica
con la sua "focosa", ciarliera intraprendenza. I due aprono continui
squarci di lievità e sorriso in una vicenda dotata di una sua intensa
complessità epica. Anche in questo caso sono doverosi i riferimenti
alla grande fiction cinematografica (Kurosawa in particolare, ma anche
Eisenstein, nella stupenda carica sulla neve), ma
è piacevole scoprire in Mulan come i numeri musicali del
cartoon possano ancora trovare senso nel divertimento coreografico più
che nell'enfasi celebrativa e come anche da un'impostazione grafica non
avanguardistica (certamente più statica di quella de Il
principe d'Egitto, meno raffinata nella
caratterizzazione di personaggi e ambienti) possa scaturire una vivacità
espressiva esemplare.
e.l. La
Difesa del Popolo - 25 dicembre 1998
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