da Film Tv (Enrico Magrelli) |
La
madre (Franca), tre figlie (Barbara, Sofia e Susanna), i rispettivi mariti
(Massimo, Nicola, Maurizio) e i nipoti riuniti a tavola per un saldo rito
della tradizione nazionale: il pranzo del "dì di festa". Un caduta, una
frattura e la mamma-suocera finisce in un letto d'ospedale. Un banale
incidente domestico accende la crisi delle tre coppie che rappresentano,
meglio di un rapporto dell'Istat, modelli, linguaggi, orientamenti
politici e soprattutto microinfelicità e insoddisfazioni collettive. Tra
decoro, ipocrisie, antagonismi, sorrisi, la vita e le famiglie, filtrate
dalla commedia italiana, sono belle e difficili. Fanno sorridere,
sganciano battute, spesso intelligenti, sui malesseri, sulle tensioni, sui
conflitti, sulle maschere sociali. Queste scene da tre matrimoni e da
albero genealogico sono guardate con affettuoso cinismo, con empatico
disincanto, con garbo e misura. La ditta dei Vanzina Brothers (Carlo ed
Enrico) scrive e dirige seguendo la pista di una tradizione importante del
cinema italiano (ben dosati gli omaggi). Sono dei narratori di razza,
bravi, come altri registi più rispettati dalla critica, nel descrivere la
commedia umana di questi anni. Il loro è un cinema di caratteri e di
facezie. Di attori (gli interpreti maschili sembrano più vividi) e di
umori. |
da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro) |
Lasciati per il momento i film natalizi e le mandrakate, la ditta dei Vanzina brothers, ripercorrendo la via sentimentale della commedia quotidiana di Monicelli, della Comencini, Scola, Risi, racconta le vite difficili, nella borghesia romana di oggi, di tre sorelle, ciascuna con guai coniugali, più l'optional dell'adorabile mamma Ralli che, rompendosi due femori al prezzo di uno, manda in pezzi anche l'equilibrio della colazione con le paste la domenica. Inferno o interno di famiglia? Il marito dongiovanni, quello idealista di sinistra (Papaleo, una storia) che perde sempre il lavoro, quello di destra ma tanto buono e servizievole, recitato con sensibilità dal bravo Maurizio Mattioli. Piacevole, col gusto dell'appunto social-modaiolo, il film ricama con un sospetto di autobiografia collettiva e di classe sulle nostre contraddizioni affettive, anche se il gusto della battuta aggiornatissima registra sì usi e costumi dell'italiano medio, ma blocca un po' la partitura. Anche perché l'equidistanza conclamata degli autori, una battuta sul Berlusca e una su Bertinotti, impedisce che si faccia vera satira e si alzi il tiro poetico sui fattori umani. Che sono però ben individuati, anche se con una ricerca da stereotipo tv da domenica sera: il medium vince il messaggio e non a caso il comunista puro e duro alla fine si salva con Lenin & Amadeus. Cast eccellente, la De Rossi e la Sofia Ricci non sono più interscambiabili, Galatea Ranzi è brava e elegante, Ghini se la spassa amaramente. |
da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
...Il massimo della "riconoscibilità rivisitata" è nel personaggio di Papaleo: è un vecchio ragazzo della sinistra velleitaria, si chiama Nicola ed è una sintesi tra il Satta Flores di C'eravamo tanto amati e il Magnozzi di Una vita difficile. Ma per lui non c'è un odioso commendatore da prendere a schiaffi per celebrare il riscatto finale, c'è un lavoretto da ghost writer per un tracotante deputato fascista cui chinerebbe la testa se non fosse la moglie a impennarsi di dignità. Tutto a meraviglia, allora? No. Vanzina ha paura di prendersi tutti interi responsabilità e meriti. Sfiora la pienezza del risultato ma, per timidezza o per autocensura, non lo afferra stretto. Il bicchiere insomma è mezzo pieno (non mezzo vuoto). |
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TORRESINO maggio-giugno 2003