Posta celere (Budbringeren)
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da Cineforum (Simone Emiliani)
Storie di volti ordinari. Volti tipici del cinema
scandinavo: tristi, con lo sguardo spento, inclini a vivere i propri amori
quasi per inerzia. I volti di Posta celere appaiono come eredi di
quelli di Kaurismäki: quasi dissolti nella loro assenza, con una (stra)ordinaria
capacità di assorbire il dolore nel proprio corpo. Volti in viaggio
in cui una cerca la complicità dell'altro. Non la complicità
della parola, ma quella del viso. Una corrispondenza visiva che precede
necessariamente la conseguente complicità verbale. Come in uno specchio,
la ricerca di questo feed-back è lunga ed estenuante (e si attua,
in modo decisivo, soltanto nel finale). Ma Posta celere si caratterizza
anche per i suoi ambienti: interni fatiscenti, lavanderie poco accoglienti,
librerie che non si discostano, nella loro disposizione da un supermercato,
locali tristi e squallidi in cui si canta il karaoke, vie sinistre, scale
scalcinate.
Ma l'opera prende intenzionalmente le distanze dalla realtà
senza però perdere al tempo stesso i connotati realistici. Il trentaseienne
regista norvegese rapisce i propri personaggi per restituirli sullo schermo
straordinariamente spaesati. E' in questo contesto che egli può
operare un processo di contaminazione tra il noir e il comico, il tragico
e il picaresco.