Piccolo Buddha (Little
Buddha) |
Misteri del dharma. Entri in sala per
recensire un grande film che è anche un evento culturale e trovi
l'evento (la sala piena in ogni ordine di posti), ma aspetti per oltre
due ore, invano, il capolavoro annunciato. Eppure l'inizio di Piccolo
Buddha è più che riuscito: sulle immagini di antichi
disegni orientali la voce di Lama Norbu racconta ai bambini di un monastero
buddista una semplice fiaba sulla reincarnazione. Poi dall'atmosfera orientale
del Buthan si passa alla modernità di Seattle per seguire il monaco
che, messosi in contatto con una giovane coppia americana, li informa che
il loro bambino (Jesse, nove anni) altri non è che la reincarnazione
di un altro Lama, morto un decennio addietro. I genitori non fanno molte domande (sembra quasi che anche loro abbiano visto con noi alcune scene esoteriche che, pochi fotogrammi prima, ci hanno preparato alla credibilità della situazione), si ritrovano a frequentare talvolta, giusto per amicizia, il centro buddista locale e leggono a Jesse il libro illustrato sulla vita di Buddha che Lama Norbu gli ha portato in regalo. Ma la storia, è chiaro, non è la solita fiaba che si legge ai bambini e il cinema di Bertolucci non ha la stringatezza di un raccontino familiare: così nel continuo parallelo che da qui in poi caratterizza Piccolo Buddha, vediamo svolgersi da una parte la vicenda di Jesse che approfondisce il suo contatto con l'esperienza del buddismo per scoprire la verità su se stesso, dall'altra la stupefacente storia di Siddharta, il principe vissuto duemila cinquecento anni fa, che abbandonò la falsa felicità della corte reale e si mescolò al popolo, dedicandosi prima all'ascesi poi alla pratica della compassione fino a diventare il Buddha (il risvegliato), guida spirituale di una nuova religione. Un tema di intenso fascino e di coinvolgente serenità, ma, nonostante Bertolucci abbia ricevuto alla "prima" parigina i ringraziamenti commossi del Dalai Lama, non ci sembra che Piccolo Buddha renda un grande servizio al buddismo e tantomeno al cinema: se la parte contemporanea ha i suoi momenti di calibrata espressività, la ricostruzione del percorso iniziatico del Buddha ha al suo attivo solo lo splendore fotografico del 70mm e la sgargiante policromia del Nepal (contrapposti "ovviamente" al plumbeo grigiore di Seattle, girato in 35mm), il resto è agiografismo d'essai, retorica spirituale. Nel suo orientaleggiante desiderio di "distacco" Bertolucci filma la meditazione ma non fa meditare: nell'estraniarsi dal proprio ego d'autore devitalizza l'opera dallo stimolo dell'emozione, e così, mentre sparge soavi petali di loto sul Siddharta e sui suoi giovani discepoli, dispensa inesorabilmente, agli affezionati spettatori, una patinata, esangue monotonia. e.l. La Difesa del Popolo 19/12/93 |