da Il Manifesto (Roberto Silvestri) |
In concorso ieri un film iraniano diretto da Merziyeh Meshkini, 35 anni, allieva di Makhmalbaf, Piccoli ladri, ovvero «ladri di biciclette a Kabul». Cos'è l'inferno? «Un buco nero senza fondo dove vieni bruciato dagli angeli». Lo conoscono bene e sanno che è roba dell'al di qua un ragazzo e la sorellina, che sopravvivono con impertinente dignità nell'immondizie della capitale afghana, tra carri armati Usa, un padre in prigione per motivi politici (ex talebano) e una mamma in carcere per adulterio (si era risposata, perché il talebano era sparito per 5 anni). In attesa della condanna a morte per lapidazione, la donna ospita nella cella i suoi due piccoli (e un cagnolino che hanno strappato a stento a una banda di coetanei feroci, armati di falò), finché il direttore, ricevute nuove leggi che non prevedono più lo status di «prigioniero di notte», smette di chiudere un occhio. E li fa cacciare. Disperati e senza tetto i ragazzi cercano di sopravvivere al freddo e alla fame. Cosa più difficile per una piccola vagabonda. Il sessismo non è stato affatto ridotto dall'occidente. Ma la sciagurata visione di un capolavoro di De Sica (mai vedere i film d'arte senza una guida spirituale?) sconsigliato anche dall'uomo alla cassa, che li spinge verso un «ottimo film anti-noia americano», li porterà su una strada senza uscita. Rubata la bici per finire in prigione, lui finirà in un maledetto carcere, ma non è lo stesso di mamma, e lei raminga in città, sola inesperta e con il barboncino a carico... Il cuore del film è un documentario sui combattimenti cruenti di cani giganti, che in piena capitale liberata attirano folle di ragazzotti baffuti che trovano solo nel divertimento feroce e nel sadismo sugli animali un «analogon» ludico adeguato alle loro nostalgie talebane e al frustrante presente «all american». Lo stile è neorealista, ovvero il realismo viene preso per la gola, quasi soffocato e «dal massimo del trucco» si dovrebbe tirar fuori un rantolo di vita vera. In realtà i ragazzi cinefili e cinofili sono adorabili e fotogenici come nelle pubblicità, ma quando fanno a sassate con il secondino che tratta la mamma da sgualdrina sono davvero mitici. E poi a differenza dei ragazzini saputelli e conformisti più dei padri dei classici del nostro dopoguerra, qui i ragazzi sono davvero senza bussola, ma azzeccano ogni mossa. Il padre di qua, la madre di là, non va bene, dicono ora quasi tutti i film occidentali, il divorzio assassina i figli. Ma il miracolo di questo film iraniano è che ogni azione dei due ragazzi è anticonformista, giusta eticamente e verrà regolarmente colpita da chiunque, qualunque potere eserciti. Coetanei in massa, secondini bigotti, amici di papà quanto più religiosi tanto più disumani, pregiudicati che non hanno imparato nulla all'università della strada. |
da Il Corriere della Sera (Giuseppina Manin) |
In Settimo: ruba qualcosa. Qualsiasi cosa, una borsa della spesa, un pezzo di carne, magari una bicicletta. Ruba e fatti prendere. Così almeno finirai in prigione, il posto migliore che ti possa capitare se sei un bambino di Kabul, uno dei tanti senza più padre, madre, casa. E' la morale paradossale di Piccoli ladri, film di Marziyeh Meshkini, ieri in gara, accolto con lacrime e applausi. Un'altra storia di infanzia violata, dolente, eppure sorridente, come è nello stile della famiglia da cui viene la regista iraniana, il clan dei Makhmalbaf. Una stirpe che oltre a Mohsen, il grande capostipite, comprende i figli Samira, Hana, Maysam, e infine Marziyeh, sorella della defunta prima consorte di Mohsen e ora sua seconda moglie. Un intreccio di affetti e passioni cinefile dove ciascuno collabora con l' altro, compreso il cane di casa: il simpatico botolo bianco che nel film accompagna i due piccoli protagonisti in cerca di rifugio, altro non è, svela Marziyeh, che Twiggy, la mascotte domestica, prestata al set. Il cane non è venuto a Venezia, ma è arrivata Gol Gothi, la deliziosa interprete, scelta tra mille bambine di Kabul. Stupefatta dal ritrovarsi catapultata in un mondo tanto diverso, sgrana gli occhioni e sorride: «L' idea di questa storia - racconta la regista, 34 anni, ammantata di nero dalla testa ai piedi - mi è venuta due anni fa, quando andai in Afghanistan con Samira per il suo film Alle 5 della sera. Durante i sopralluoghi visitammo alcune prigioni e mi stupii di vedervi tanti bambini. Erano i figli delle detenute. Di giorno stavano per strada, di notte venivano a dormire dietro le sbarre». E difatti Gol Gothi e Zahed, lei di 7 anni anni, lui di qualche anno maggiore, quando al calar del sole bussano al portone del carcere, si presentano: «Siamo i prigionieri della notte». La guardia li conosce e li accompagna bendati fino alla cella della madre imprigionata con l' accusa di adulterio. A spedirla dentro il primo marito che, dopo esser sparito per 5 anni, si ritiene mortalmente offeso perché lei nel frattempo si era risposata. E se è rimasta vedova, poco importa: «Allah potrà perdonarla, io no». Questo strano equilibrio tra dentro e fuori per i due fratellini funziona finché un giorno non sono più ammessi dietro le sbarre e per sfuggire al gelo, alle insidie del vagabondare al buio, non gli resta che rubare, sperando di venir arrestati e tornare così in galera. «Sono milioni in Afghanistan i bambini rimasti soli - spiega la regista -. Venti anni di guerre contro i russi, contro gli americani, ma anche di etnie contro etnie, hanno devastato il Paese spazzando via generazioni di uomini. E di quei pochi sopravvissuti, molti sono in galera. Per sopravvivere i piccoli raccolgono legna e stracci da barattare con un pezzo di pane». Quello che mostra lo schermo è desolante, a Kabul tutto sembra come prima, in barba alla cosidetta democrazia. «No, a guardare da vicino, qualcosa è cambiato. Nell' ultimo anno la ricostruzione è cominciata, il burka è molto meno in uso, lo indossa solo un dieci per cento delle donne, c' è meno paura in giro e persino un po' di allegria. Prova ne è che hanno riaperto i cinema». E difatti, come si racconta nel film, i due bambini e il cane vanno a vedere Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, che forse non apprezzano ma che gli dà l' idea giusta per imparare a rubare. Invano il cassiere cerca di dissuaderli: «E' un film d' arte, è noioso». Ma, visto che quelli insistono, aggiunge: «Il cane entra gratis, a questi film di solito non vengono neanche loro». |
Torresino
- settembre 2004