L'ottavo giorno (Le
huitième jour) |
Commossi o indispettiti? L'atteggiamento verso L'ottavo
giorno deve per forza ridursi ad una posizione così schematica?
Non necessariamente. Anche perché dovendo "classificarlo"
non lo definiremmo né un film sull'handicap, né un film
sul senso della vita, bensì un film di Jaco Van Dormael, un autore
la cui poetica ha una personalità davvero "diversa" nel
panorama cinematografico attuale. Chi ha visto il suo esordio, Toto
le héros (recuperatelo in cassetta, ne vale la pena), ne
riconosce facilmente il tocco in una tematica limpida e coinvolgente,
in uno stile surrealmente infantile. George
(Pascal Duquenne) è un mongoloide alla ricerca di un'affettività
"normale" (confusa tra il ricordo della madre morta, l'impossibilità
di un matrimonio con una sua simile, una semplice, sincera amicizia) che
incrocia casualmente il destino di Harry (Daniel Auteuil), un uomo in
carriera, soddisfatto per immagine sociale, "perduto" sul piano
sentimentale, con una moglie che l'ha lasciato e due bambine che lo rifiutano
come padre. L'incontro tra i due, il contrasto "etico" delle
loro esistenze è soavemente retorico, ma Van Dormael ama fare della
retorica il surplus narrativo che anima il suo cinema e così quando
George sogna le sue apparizioni hanno la concretezza del reale; la macchina
da presa può staccarsi all'improvviso dal contesto per seguire,
leggiadra, il volo di una coccinella; e se un motivo musicale fa da colonna
sonora alla vicenda, i personaggi cantano guardando in macchina, un topo
(!) entra in scena per seguirne la melodia e, lì accanto sul pavimento,
le scarpe si muovono, da sole, a ritmo. Certo l'uso come attore di un
vero down può essere discutibile (a Cannes comunque il premio è
andato proprio alla coppia di interpreti) e talvolta la regia indugia
sull'aspetto claunesco dell'handicap, ma ciò che resta non è
necessariamente il sentimentalismo solidale o pietistico verso George
e compagni, quanto la surreale spontaneità di un mondo "altro"
che ci circonda, il dolore della solitudine e la bizzarria destabilizzante
dell'anormalità (anche cinematografica); la nostalgia esistenziale,
comune a tutti, per un mondo meno arido, dove non ci sia bisogno di aggiungere
un ottavo giorno alla creazione per trovare uno spazio ("a metà
tra gli angeli e gli uomini") in cui dare senso compiuto all'accettazione
del nostro vivere, "sorprese" genetiche incluse.
e.l. La Difesa del Popolo 27/10/96 |