da Film Tv (Enrico Magrelli) |
Lui
accarezza, stringe, afferra e si aggrappa al viso di lei. Il loro amore
rancido, sudato, bagnato, violento, disperato, disgraziato, tenero e
assoluto è come quella carezza. Un amore violento e forte, ma non
abbastanza violento e forte da fermare il tempo. I due protagonisti di
questo melodramma borghese che deflagra in una periferia squallida, in una
casetta abborracciata e schiacciata tra palazzoni scheletrici, tra strade
sterrate, buste di surgelati, supplì, bicchieri di vodka, partite a
calciobalilla, si preparano ad un'altra separazione e, come sempre, non
sembrano pronti. Come gli amanti dei miti che non smettono di amarsi. Mai.
Come chi all'abbandono, all'inferno, alla fine non si abitua. Come chi
conosce il lutto e lo nega. Conosce la passione che divora l'anima, svuota
gli occhi, uccide, annichilisce. Un'emorragia cerebrale che inonda il
cervello o seppellisce i ricordi sotto uno strato sottile di terra fresca.
La testa di Angela, la figlia adolescente di Timoteo, sul tavolo
operatorio per un intervento difficilissimo dopo un incidente in motorino,
e quella del padre, in attesa in un corridoio, combattono per
sopravvivere. Mentre la pioggia bagna un fantasma seduto all'aperto e con
una sola scarpa rossa. Non muoversi, stare fermo è un'invocazione
interiore, una preghiera, un sibilo angoscioso. Un'imprecazione rivolta al
cielo e ai muri della prigione di una vita sterile e misurata, protetta da
spirali, da feste noiose, da bianche case al mare, da bugie, da solitudini
confidate ad una sconosciuta dal balcone di casa, da convegni medici, da
confidenze, da ventri gonfi di embrioni abortiti, da camici e guanti
sterilizzati. Chi apre chirurgicamente i corpi, guarda stupito il fiotto
del sangue e traghetta le persone tra la vita e la morte, non ha imparato
a usare il bisturi sui tessuti delle emozioni. Tra queste mura che
affondano in un passato straziato da altri abbandoni si apre, in un
pomeriggio umido e afoso, una falla scrostata e profonda. Uno stupro
diventerà un amore malato, accende e si avvita una carnalità primigenia e
spietata. Timoteo azzanna ed è dilaniato da Italia, una donna derelitta,
brutta, sgraziata, docile. Dentro di lei il protagonista, con la sua viltà
e le sue improbe debolezze, si perderà e non avrà più pace. Sergio Castellitto (interpreta magnificamente le ambiguità di Timoteo) si aggira,
con bellissime intuizioni visive e inquadrature strazianti, nelle pagine
del romanzo della moglie Margaret Mazzantini e mette in scena, aiutato da
una straordinaria Penélope Cruz, in un ruolo drammatico che resterà
incollato nel suo dna (anche gli altri attori sono molto bravi), con
qualche febbrile eccesso di regia, i battiti, le vertigini, le faglie, i
crepacci orridi, le solitudini, i tormenti, l'incoscienza e gli
avvilimenti dei personaggi. |
da La Repubblica (Paolo D'agostini) |
Eravamo convinti che l'unica possibile Italia, cioè la donna misteriosa sgualcita dalla vita e imprevedibilmente passionale ("una rana che diventa un angelo") al centro del romanzo Premio Strega 2002 di Margaret Mazzantini, fosse Isabelle Huppert. Troppo poco giovane, troppo bella? Essendo la numero uno assoluta in Europa, la più pronta a spingersi all'estremo, la più audace di tutte, può fare qualsiasi cosa con credibilità altrettanto assoluta. Ma Castellitto (nonostante, ne siamo certi, fosse sensibile ai numeri indiscussi dell'attrice francese) inizialmente pensava che la sua Italia dovesse essere affidata a un volto e a un corpo poco conosciuti. Non sappiamo che cosa l'abbia infine portato a Penelope Cruz, ma il risultato è eccellente. Eccellente è tutto il cast: lui stesso come Timoteo, Claudia Gerini che nei panni della moglie Elsa borghesemente impermeabile (fino al gravissimo allarme per l'incidente della figlia) dimostra alla grande di essere più che una entertainer un po' come Monica Bellucci ha dimostrato di non essere soltanto una modella. Ma anche Angela Finocchiaro (l'infermiera) e Marco Giallini (l'amico e collega di Timoteo) sono da lode. Era una sfida coi fiocchi portare sullo schermo Non ti muovere, restituirne in pieno la ricchezza di pieghe e sfumature. Quali imperscrutabili strade possa scegliere l'amore per esprimersi, quali terribili prove e svolte la vita possa riservare. "Contro" Sergio Castellitto aveva un solo tentativo di regia (Libero Burro) generoso ma claudicante. A favore: un'autorevolezza come interprete che fa ormai di lui l'erede di Mastroianni. Chissà se a favore o contro, il fatto che il romanzo lo ha scritto sua moglie: complice sicuramente, ma anche guardiana ravvicinata. Il libro è molto famoso e sarà fatale la sorveglianza di chi l'ha letto, apprezzato, amato, su quanto si ritrovi il giusto clima del primo incontro tra Timoteo e Italia, sotto una cappa di caldo soffocante in una specie di squallida bidonville ai margini della città, e poi quell'impulso irrefrenabile a violare quel corpicino sciatto e indifeso. Questo e tutto il resto. La scoperta di una passione inevitabile e senza speranza al tempo stesso, il dolore della perdita (di Italia) e della minacciata perdita (della figlia) che riporta a un senso di realtà che è contemporaneamente maturità e opportunismo. Sì, c'è riuscito in pieno Castellitto e auguriamo a questo suo film intenso e ispirato - fin nella scelta delle canzoni: da Cutugno a Vasco, da Leonard Cohen a Lennie Tristano - la meritata fortuna. |
LUX - aprile 2004