Noi albinoi
(Nói albinói) |
Primo Premio Festival di ROTTERDAM
da Il Corriere della Sera (Tullio Kezich) |
Lo chiamano "l'albino Noi" ed è, a dir poco, un tipo a sé. Ha 17 anni, vive con la nonna, ha un padre ubriacone e a scuola nonostante l'alto quoziente d'intelligenza porta alla disperazione i professori e si fa cacciare dal preside. Si innamora di Iris, giovane benzinaia, e nell'assurda speranza di fuggire insieme improvvisa una rapina provocando un mezzo disastro. A un disastro completo provvede infine il destino. Narrato così sembra l'ennesimo "Bildungsroman", tra il grottesco e il tragico, ma la peculiarità del film islandese Noi albinoi è di essere ambientato in un borgo sperduto fra le nevi eterne; e in un certo momento, come vedrete, sepolto in senso letterale da una valanga. Proveniente da un Paese che non produce molto cinema e non ne esporta affatto, questo piccolo film passato attraverso vari festival internazionali e candidato all'Oscar si impone per forza, nitidezza e originalità. Nella sua recensione su Variety, Deborah Young ha scritto scherzando che il protagonista Tómas Lemarquis, calvo e spiritato, sembra la versione in carne e ossa del Burt Simpson dei "cartoons". Ma è doveroso prendere atto che l'eccentrico interprete con buoni precedenti teatrali è un brillante diplomato del "Cours Simon" di Parigi; e che il coetaneo regista Dagur Kári, suo ex compagno di liceo, ha invece studiato cinema in Danimarca insieme con altri collaboratori del film. I membri del gruppo, insomma, hanno arricchito la loro professionalità con esperienze che li hanno condotti fuori dalla loro isola remota, alla quale tuttavia hanno fatto ritorno per raccontare una vicenda che in qualche modo ne rispecchia l'anima. La peculiarità di Noi albinoi è proprio quella di proporsi come una vicenda da una parte universale, nel senso che potrebbe svolgersi ovunque, e dall'altra profondamente condizionata dall'ambiente. I dolori del giovane Noi prendono risalto dagli invalicabili muri di ghiaccio che lo circondano, contro i quali a un certo punto il ragazzo spara illusorie fucilate forse con conseguenze sfioranti il rischio del suicidio. Si può anche intendere il tutto con una metafora dell'esigenza di rompere l'isolamento culturale dell'Islanda affidando alle onde del cinema internazionale un film che appare come un messaggio nella bottiglia tra la provocazione e il fiero atto di presenza. |
da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Un po' genio un po' scemo del villaggio, l'albino diciassettenne Noi vive in un fiordo all'estremo nord dell'Islanda che, in inverno, resta totalmente tagliato fuori dal mondo. Né emozioni, né prospettive; solo neve, passibile di precipitarti sulla testa da un momento all'altro sotto forma di valanga.. Noi vive con la nonna afflitta da Alzheimer, fa visita al padre alcolizzato, frequenta sporadicamente la scuola e, come top del divertimento, scassina la slot-machine del drugstore per comprarsi una birra. Quando trova un lavoretto, si tratta di scavar fosse al cimitero: impiego di per sé poco allegro, nonché aggravato dal fatto che la terra è ghiacciata e impenetrabile. Fino a che, il giorno del suo compleanno, la nonna gli fa dono del "View Master", quel tipo di visore (ormai oggetto di modernariato) che permette di guardare le fotografie a tre dimensioni. Folgorato dall'immagine di una spiaggia tropicale, il ragazzo vorrebbe fuggire verso i Mari del Sud assieme a Iris, la ragazza del distributore di benzina. Pluripremiato ai festival di Rotterdam e Angers, candidato all'Oscar per l'Islanda (ma quanti film all'anno può mai produrre, l'Islanda?), Noi albinoi è un dramma con venature di commedia (cfr. la gag su Kierkegaard) che in sottofinale vira alla tragedia, poi opta per un epilogo tipo ottimismo della volontà. Tendenzialmente destinato a un pubblico di cinefili sensibili e un po' depressi; ma anche a chi, saturo di blockbuster rumorosi e in attesa dei film-panettone, voglia sperimentare qualcosa di diverso. |
TORRESINO - gennaio 2004