Nobi - Fires on the Plain
Shin’ya Tsukamoto - Giappone 2014 - 1h 27'

concorso - VENEZIA 71

    Che Shin'ya Tsukamoto sia uno dei registi giapponesi più conosciuti e amati in occidente è dato noto, ma che ad ogni occasione - con  Fires on the Plain ritorna nel concorso ufficiale veneziano - invita da una parte a confrontarsi con l’umiltà e la dedizione al proprio lavoro del regista di Tokyo, e dall’altra con l’identità puramente indipendente del suo cinema, e di conseguenza  con l'importanza dei circuiti festivalieri nella scoperta e la promozione di territori artistici altrimenti inesplorati dal mero mercato. Parliamo di quei titoli necessari a completare il cartellone di una “Mostra d’Arte Cinematografica” - raramente spoglio e deludente come quello della 71a edizione del Festival di Venezia - e indispensabili per decifrare coordinate e cambiamenti in atto nella settima arte. 
Come già accaduto in una manciata di occasioni - Hiruko the Goblin, Gemini e il cortometraggio inserito nel film collettivo Female - Tsukamoto torna a confrontarsi con un soggetto non suo, le memorie belliche messe in scena in
Nobi sono infatti quelle raccolte da Shōhei Ōoka in uno dei più noti capolavori della letteratura nipponica del dopoguerra, precedentemente adattato al grande schermo da Kon Ichikawa nel classico Fuochi nella pianura. A differenza del film del 1959 in cui la storia del soldato Tamura permetteva a Ichikawa di tratteggiare l’oscura interiorità del personaggio, Tsukamoto preferisce seguirlo nel suo disperato errare rievocando il contrasto tra l’uomo e la natura che era anche tema del romanzo. La guerra secondo Tsukamoto è un male che infetta,  il cammino senza sollievo del protagonista nella foresta filippina è una progressiva e avvilente discesa agli inferi dove il corpo umano si fa ancora una volta mappa di una metamorfosi, strumento privilegiato per decifrare i sentimenti più reconditi dell’animo umano e la natura suo gigantesco e inaffrontabile specchio/riflesso, uguale ed opposto. E, anche se i tempi di Tetsuo sono evidentemente lontani, il confronto si fa diretto e spiazzante con l’evoluzione artistica del suo autore e con l’esigenza di un linguaggio cinematografico che è primordiale e rivoluzionario al tempo stesso, un linguaggio che lo spettatore sta evidentemente disimparando. Nobi è un’esperienza sensoriale, ipercinatica, un film sulla guerra dove il nemico non si vede, ma ogni suono ne materializza l'incombente esistenza e dove il campo di battaglia è un territorio senza punti di riferimento, barricate o ripari popolato di mummie di carne fresca (il richiamo artaudiano è ancora una volta evidentissimo). La guerra per Tsukamoto è orrore puro, non melodramma eroico dato dall’accumulo di dettagli storici ma incubo palpabile che si concretizza proprio nella sottrazione di punti di riferimento; l’orrore è nella perdita di umanità, nell’abbrutimento, nell’inerzia priva di speranza che annienta ogni forma di legame. Un girone dantesco dove l'esposizione iper-realistica della mostruosità umana e della carne - esibita, decomposta, mangiata -  non hanno però nulla di pornografico, né riconducibile al voyeurismo di genere, è semmai brutalità pura la cui diretta messa in scena è ormai indispensabile a scuotere la coscienza dello spettatore. Nelle interviste rilasciate in occasione della presentazione del film Tsukamoto parla chiaramente di un film politico e segnala l’urgenza di affrontare direttamente il tema della guerra e della memoria della stessa: “Dalla guerra sono passati settant'anni e questo significa che le persone che l'hanno vissuta sono quasi tutte morte. Loro erano gli unici testimoni di una realtà che è stata poi edulcorata e non arriva più senza filtri. Per questo è necessario mostrare la realtà per come era, salvando così la memoria.”
E se il passato rischia di venire troppo presto dimenticato, il cinema si fa strumento ultimo e imprescindibile di memoria collettiva, inevitabilmente critica e spietata.

Valentina Torresan - ottobre 2014 - pubblicato su MCmagazine 36