Quasi
20 film in carriera, un curriculum teatrale consolidato accanto alla
moglie Elaine May, un'autorialità cinematografica “incerta” ma segnata da
opere chiave del cinema americano fine anni ’60.
È il 1961
quando
Mike
Nichols,
dopo aver esordito con la trasposizione della sue piece
Chi ha
paura di Virginia Woolf
(memorabile il duetto Liz Taylor – Richard Burton) porta sullo schermo
The Graduate dal romanzo di Charles Webb. La storpiatura del titolo
italiano (da “il diplomato” a
Il laureato)
falsò in parte il profilo post-adolescenziale, ma l'impatto
socio-stilistico del film fu straordinario, inalterato anche sotto il
segno del tempo. Il film fu il risultato della combinazione di elementi
disparati che pulsavano nel tessuto connettivo americano e che la sua
regia seppe coordinare, coniugando emozioni concettuali, visive e sonore: Benjamin Braddock è un Holden più borghese e romantico, più intimista e
quindi meno massificato, ma ingenuamente troppo candido (fondamentale
l'interpretazione del volto-nuovo Dustin Hoffmann). E la mantide-Anne
Bancroft, mentre sintetizza nel sesso la voracità suadente del compromesso
e dell'ipocrisia della società adulta americana - a cui Benjamin concede una
distaccata partecipazione (continuerà a chiamare la sua amante "signora
Robinson") -, evidenzia pure, per contrasto, la speranza di una "filiazione"
sociale diversa, di una "nuova America"; in quanto è proprio in sua
figlia, la "virginale" Elaine (ah, Katharine Ross!) che Benjamin
scoprirà un senso (sentimentale) da dare alla propria vita: il
rapimento-fuga del finale, immortalato in immagini ormai "storiche"
(perfino citate
negli spot pubblicitari), è una non-conclusione esistenziale che ha
stigmatizzato inconsciamente tutta una generazione.
La
disillusione cui hanno fatto capo molte delle scelte di allora non ha
tolto, anzi ha mitizzato il carisma de
Il laureato così come la sete di
limpida riflessività ed i conseguenti caratteri stilistici (per tutti la
corsa-immobile di Benjamin "bloccato" dal teleobiettivo, il montaggio
trasversale di luoghi e situazioni, l’amalgama "spirituale" delle canzoni
di Simon e Garfunkel) hanno fatto da battistrada a quel momento
cinematografico attento alla contemporaneità delle psicologie, al
protagonismo dell'ambiente ed all'autonomia mitico-realista dell'oggetto
filmico che si è provato ad individuare col termine "Nuovo Cinema
Americano".
È in questa nuova realtà hollywoodiana che Nichols può passare da un
"cinema dell'utopia" ad un "cinema dell'assurdo":
Comma 22
(1970) esprime figurativamente ciò che è alla base del fantomatico comma
22 del regolamento militare per cui "un pilota che risulti non sano di
mente può essere esonerato dal servizio, ma un pilota che chieda di essere
esonerato dal servizio non può considerarsi non sano di mente per cui
potrà essere mantenuto in servizio".
Ma limitarsi
ad apprezzare in quest'opera la dirompente carica antimilitarista è
riduttivo poiché, proprio partendo dalla dinamica avanguardista del
romanzo omonimo di Joseph Heller, Nichols elabora una critica totale a
certo istituzionalismo asfittico della civiltà capitalistica americana ed
alla idiosincrasia parossistica dell'individuo che le si confronta ("la
guerra come stato della mente e della coscienza" puntualizzò a suo
tempo Franco La Polla).
Con
Conoscenza
carnale
(1971) la satira si fa più acre ritraendo la gaudente (im)maturazione di
due amici, Sandy (Art Garfunkel) e Jonathan (Jack Nicholson), in varie
tappe del proprio vivere: dalle esperienze universitarie alle sicurezze
oltre la soglia dei quarant'anni, i due si ritrovano squallidamente a
confrontarsi con l'esibizionismo e la precarietà della propria ideologia
esistenziale "a tutto sesso", verbale e pratico.
La concretezza
della sceneggiatura di Jules Feiffer e la disarticolata espressività
filmica della regia non si coniugano in una pellicola stilisticamente
compiuta, ma, grazie anche alle azzeccate interpretazioni (Jack Nicholson,
Candice Bergen e Art Garfunkel), l’impatto sociale si rivela forte e
“scandaloso” (meritandosi la X di film osceno!)
Ci vogliono oltre 10 anni perché Nichols ritrovi una verve all’altezza del
suo nome.
Silkwood
(1983) mette in scena la storia vera di un’operaia che denuncia le
condizioni di insicurezza sul lavoro in un impianto nucleare dell’Oklahoma
e che muore in un incidente stradale prima di poter fare importanti
rivelazioni al New York Times. La Karen Silkwood di Meryl Streep è un
personaggio controverso e disorientato per la quale il veleno contaminante
del plutonio diventa metafora del "malessere esistenziale" della società
americana.
L’interpretazione valse alla Streep la nomination all’Oscar, così come era
successo ad Anne Bancroft ed è proprio un tripudio di personalità
attoriali ciò che contraddistingue la filmografia di Nichols: Meryl Steep
ritorna con Jack Nicholson in
Heartburn - Affari di cuore
(1986) e in duetto con Shirley MacLaine per
Cartoline
dall'inferno
(1990),
Una donna
in carriera
esalta le personalità femminili di Melanie Griffith e Sigourney Weaver a
fianco di Harrison Ford che è di nuovo protagonista in
A proposito
di Henry
(1991). Di nuovo Nicholson per
Wolf - La
belva è fuori
(1994), poi Robin Williams e Gene Hackman (Piume
di struzzo,
1996) e John Travolta in
I colori
della vittoria
(1998)…
Si arriva così agli anni 2000 con due film che chiudono il cerchio
puntando ancora sulla forza del cast e sulla provocazione dei risvolti
socio-politici.
Closer
(2004, da una commedia di Patrick Marber) può essere visto come uno
smaliziato aggiornamento di
Conoscenza carnale
in cui le coppie incrociate (Jude Law, Natalie Portman, Julia Roberts,
Clive Owen) si disfano e si feriscono senza pietà: sesso e inganno,
cinismo e tradimento, egoismo e disillusione orchestrati da Nichols su una
partitura recitativa d’eccezione.
Una farsa
dissacratoria è invece
La guerra
di Charlie Wilson
(2007) che chiude la carriera dell’allora settantaseienne regista in
maniera dignitosa e “coerente”: lo spirito di fondo è pragmaticamnte
“democratico” (Wilson è un bizzarro senatore texano che indice negli anni
ottanta una crociata personale per armare la resistenza afgana contro
l'esercito russo. Peccato che poi quegli stessi afghani diventeranno i
nemici giurati degli Usa…), il tono è da godibile commedia agrodolce.
Nelle mani del terzetto formato da Tom Hakns, Julia Roberts e Philip
Seymour Hoffman la satira politica è caustica, il gioco delle parti
sfacciatamente libertino.
Fino alla fine
Mike Nichols non ha rinunciato a vivisezionare miti e moralità di
un'America destabilizzata...
ezio
leoni
- dicembre 2015 |