Tragedie
della gelosia, il cinema non ce ne ha risparmiate. E per gli omicidi
impuniti
Crimini e misfatti
ha fatto scuola. Ma siamo incompetenti (Woody
Allen a parte), in madri ebraiche… Avremmo bisogno della
consulenza di Moni Ovaia, ma in ogni caso c’è poca ironia in
Naomi,
di Eitan Zur, secondo appuntamento della Settimana della Critica.
Siamo ad Haifa e Ilan, sessant’anni, affermato docente universitario
di astrofisica, è roso dalla gelosia, tormentato dal tradimento. La
sua giovane moglie Naomi, brillante illustratrice, scopa con Oded e
gestisce la doppia relazione
affiancando la tenerezza matrimoniale con
una regolare frequentazione del suo amante. Valgono a poco i consigli
di Kathy, la burbera madre (“hai voluto una bambolina di 28 anni?”),
che lo invita a sopportare nell’attesa che tutto si plachi; Ilan va a
casa di Oded, lo affronta e, preso dall’ira, lo uccide. L’omicidio
diventa chiave di volta per scuotere il torpore esistenziale in cui la
regia di Zur ha inizialmente immerso i suoi protagonisti. Vengono alla
luce le irrisolte dinamiche familiari della giovinezza di Ilan. Una
madre affettivamente assente, un padre innamorato e rifiutato che
accetta e subisce i continui tradimenti della moglie pur di averla
accanto a sé. Ed proprio Kathy, ora ottantenne, a prendere per le
corna la situazione, aiutando il figlio a far sparire il cadavere
(sotterrandolo astutamente in una fossa appena scavata per una
conoscente al cimitero), convogliando quest’opera prima in un dramma
di arguta suspence. Ilan sente crescere il senso di colpa, soffre
vedendo la moglie sempre più turbata dalla scomparsa dell’amante,
offre ingenuamente delle piste rivelatrici proprio al suo amico Anton,
commissario di polizia. Interni opprimenti e solitari ambienti
esterni, dialoghi scarni e silenzi espliciti; ma lo spazio principe è
quello, lacerato, dell’animo e la voce che forte si fa sentire nel
film è quella dello smarrimento di Naomi che non osa rivelare al
marito la sua (dubbia) gravidanza, quella dell’ansia di Ilan che teme
di essere scoperto e di lasciare così completamente sola la moglie (“ne
troverà di uomini, ai fiori belli l’acqua non manca mai” lo
rincuora ironicamente la madre), quella della lettera lasciata dalla
madre stessa per accompagnare il proprio suicidio. La situazione era
sembrata precipitare: Anton aveva scoperto il corpo, Nadia stava
probabilmente subodorando la verità, Ilan si trovava sul punto di
crollare. Ma in quella lettera Kathy si addossa la responsabilità di
un figlio infelice da ragazzo e tormentato da adulto, nonché
dell’omicidio “risolutore” di una sofferta dinamica di coppia. Altro
che opprimente mamma mediterranea, la madre ebrea è garanzia di
protezione assoluta.
|