La verve documentarista del Festival ha trovato
nuovo, corposo spazio con il tributo a Mastroianni di Anna Maria Tatò.
Il suo Marcello Mastroianni - Mi ricordo, sì io mi ricordo
è stato presentato nella versione di oltre tre ore (a Cannes e nelle
sale italiane è circolata la copia ridotta a due ore circa) e l'impatto,
nella cornice di una Mostra all'insegna del grande attore, è stato
senz'altro positivo.
D'altronde il film ha il tono cordiale di un'interminabile intervista in
cui Mastroianni ama raccontare e raccontarsi per un piacere rievocativo
non solo aneddotico ma di vera ricomposizione di un'esistenza tutta cinematografica.
Egli stesso si domanda se mai gli sia stata proprio una vita vera, al di
fuori di quella realtà cinematografica che ha permeato tutto il
suo vivere. Di riflesso sin da bambino, quando si immergeva nel buio della
sala per assistere alle doppie proiezioni dei suoi divi preferiti. La prima
sequenza di repertorio è così per Carioca
(il mito del musical si riaffaccerà nella citazione di
Ginger
e Fred e dello spettacolo Ciao
Rudy), per ricordare come il cinema fosse
in quegli anni un sogno generazionale che si coniugava con le occasioni,
in quel di Roma, per toccare con mano il magico mondo del cinematografo.
Il primo aneddoto è per l'esordio come comparsa (insieme alla madre),
per le iterate lettere di raccomandazione (senza esito) presentate da giovanissimo
a De Sica, ma l'emozione del ricordo per le prime significative interpretazioni
va a Domenica d'agosto
(Luciano Emmer) e ai lavori con Monicelli: Vita
da cani, Padri
e figli, I
compagni.
Ma al di là dello scorrere cronologico di una carriera zeppa di
titoli (oltre 150) e di successi (almeno il 70%?), la piacevole sorpresa
per il pubblico è l'affabile saggezza che Marcello esibisce, con
pudore, mentre commenta il suo vissuto. Nel mettere a confronto l'esperienza
teatrale e cinematografica parla con nostalgia dell'impegno a tutto corpo
dell'attore sul palcoscenico, della severità dell'impianto teatrale
in confronto a quello del cinema, fatto di stravaganza, approssimazione,
confusione. Discutendo di lavoro e professionalità ribadisce la
sua perplessità sulla sofferenza strasgberiana di entrare e uscire
dal personaggio, lui invece sempre divertito nel suo lavoro di interprete:
"E' un mestiere meraviglioso, ti pagano per giocare e tutti ti
battono le mani... Se sei bravo almeno un po'". Di fronte alle
immagini di una delle tante premiazioni esterna i suoi dubbi sulla tempestività
dei riconoscimenti assegnati ("Va a sapere quando fummo veramente
dei bravi bugiardi"), sbotta contro l'eccessiva campagna anti-fumo
in America mentre aspira una delle sue cinquanta sigarette giornaliere
("fa proprio male!"), ribadisce il suo imbarazzo di fronte
alla sua perpetuata immagine di latin-lover ("accettai i ruoli
di Il bell'Antonio,
in cui ero un impotente, e quello di Una giornata
particolare, in cui interpretavo un omosessuale,
anche per sfatare questo luogo comune")
e si lascia andare, con lievità, a riflessioni sulla vecchiaia e
sulla memoria ("i ricordi sono una specie di punto di arrivo"),
sulla morte ("vorrei solo poter scegliere il tempo").
Pochi sono gli accenni alla vita privata: le uniche dichiarazioni d'amore
sono per Roma e Parigi (nonché per Napoli) mentre di Catherine Denevue
abbiamo solo una fugace apparizione in Non
toccare la donna bianca di Marco Ferreri.
Ci sono parole d'affetto per
Fellini (scorrono alcune sequenze dei provini
de Il viaggio di G. Mastorna)
e, ovviamente, tanti aneddoti. Su tutti quello relativo ai suoi genitori.
Il padre era sordo, la madre ci vedeva poco. Al cinema uno chiedeva "che
ha detto?" e l'altra, di rimando, "che ha fatto?". Davvero
come dice Marcello "una scena da cinematografo".
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