Mirka |
Non lasciatevi ingannare dallo
straziante assunto narrativo, né dall'accorata lettera
del cardinal Poupard: Mirka non è un gran film.
La leziosa fotografia di Storaro ne mina l'impatto
civile, la retorica debordante del messaggio non gli
permette di spaziare nella poetica del dramma interiore.
Ma non lasciatevi neppure distrarre dai cavilli critici
che presiedono ad una severa analisi filmica. Non si può
non vedere in Mirka un'intensità filmica fuori
del comune, uno sforzo autoriale tanto emotivamente
intenso quanto artisticamente rischioso. Rashid Benhadj
è disposto a sacrificare il suo stile rigoroso e
introspettivo (Touchia) per tentare una comunicazione più
diretta e "popolare" ("volevo che il
mio messaggio arrivasse chiaro ai giovani, non mi importa
se gli adulti non sono del tutto soddisfatti"),
accetta la standardizzazione recitativa del doppiaggio
pur di contare su attori di nome (Vanessa Redgrave,
Gèrard Depardieu) che diano credito produttivo al suo
cinema. E che un film come Mirka sia riuscito a
trovare spazio nei canali distributivi commerciali è
già un vittoria culturale, il segno vitale di una cinema
che non si adagia su storie banali e di comodo, ma cerca
il contraddittorio inusuale tra il commovente mistero
dell'amore materno e l'atrocità disumana dello stupro
etnico. Che Mirka, questo ragazzo dai capelli corvini e
dai lineamenti mediterranei cerchi caparbiamente la
propria madre tra gli "estranei" di una
comunità montana dai tratti nordici e dal cuore indurito
dall'intolleranza, è una scommessa civile di sempre
sconvolgente attualità. Proprio come, da sempre, lo è
il cinema di Benhadj. Non abbandonatevi solo al piacere
della maestria insuperabile del cinema hollywoodiano,
avventuratevi tra i meandri fecondi del cinema marginale.
Con Mirka, nella sua appassionata incompiutezza,
ne vale la pena. e.l. notiziario CGS - aprile 2000 |
da L'Unità (Alberto Crespi) Mirka era un film molto atteso. Almeno da chi scrive, convinto estimatore di Rachid Benhadj fin dai primi film, Louss e Touchia, ambientati nella sua Algeria e brillanti rappresentanti del cinema del Slaghreb. A differenza del 99 per cento, dei cineasti suoi compatrioti, che hanno nella Francia un punto di riferimento culturale e produttivo, Rachid ha scelto l'Italia come patria di elezione, e si sa che il nostro paese è meno ospitale (meno abituato?) nei confronti degli artisti stranieri. Per cui, il suo primo film «italiano» si è fatto attendere più del dovuto. Ora, grazie anche alla tenacia della produttrice Annamaria Gallone e alla distribuzione della Mikado (ma decisivo è stato anche il «sì» di Gérard Depardieu per un piccolo ruolo), Mirka arriva nelle sale. Speriamo non scompaia dopo pochi giorni... Film, come si è abbondantemente scritto, sul difficile tema dello stupro etnico, Mirka racconta una guerra senza nome. In un paesino sperduto sui monti, arriva un misterioso bambino di 10 anni che cerca la sua mamma. L'anziana Kalsan lo ospita, dandogli lavoro come pastore. Capiamo subito che Mirka è suo nipote: Elena, figlia di Kalsan, l'ha dato alla luce dopo essere stata stuprata dai soldati «nemici», come molte ragazze del villaggio. Mentre gli altri figli della violenza erano stati tutti uccisi, Mirka era stato salvato dalla nonna, e poi affidato all'orfanotrofio della città. Dieci inni dopo, il suo ritorno fa esplodere nella comunità l'odio per il «diverso». Solo Elena, di fronte al figlio sconosciuto, scopre con orgoglio l'amore di madre; e solo il bizzarro uccellatore Strix, considerato da tutti il matto del paese, diventa suo amico. Benhadj ha firmato un film volutamente fuori dal tempo. Anche se l'ambientazione (le Pale di San Martino, in Trentino) fa pensare alla ex Jugoslavia, la parabola potrebbe riferirsi alla Bosnia come all'Algeria, al Rwanda come alla Cecenia. Da qui, e dal rapporto di Mirka con Elena e con la natura violenta che lo circonda, nasce la forza del film, che purtroppo ha anche qualche difetto. Il cast internazionale è qua e là spiazzante (Barbora Bobulova è azzeccatissima, Vanessa Redgrave è brava ma spesso ha l'aria spaesata), qualche sottolineatura di dialogo è eccessivamente poetica e la fotografia di Vittorio Storaro è, credeteci, sorprendentemente brutta. Ma il figliolo di Benhadj, Karim (nome del quale Mirka è un anagramma: un caso?), è bravissimo ed intenso, e nel complesso il film è generoso e doveroso. L'attesa non è stata vana. TORRESINO - prima visione: incontro in sala con Rachid Benhadj e Barbora Bobulova - marzo 2000 |