Compatta e di indiscussa personalità la
sezione British Renaissance resta uno spazio "sicuro"
alla Mostra. Dove si incontrano pellicole con un loro senso ed una struttura,
di racconto e di stile. Certe volte con un impatto leggero e accattivante,
altre in tono più caustico e melodrammatico. È il caso, rispettivamente
di Metroland e TwentyFourSeven.
Nel primo Philip Saville mette in scena il tormento matrimoniale di Chris,
ex giovane arrabbiato e ora (fine anni '70) serio professionista a Metroland,
felicemente sposato con moglie (Marion-Emily Watson) e figlia. Il quadretto
di tenera borghesia di provincia si incrina quando
spunta Toni, l'amico più caro, il compagno di gioventù che
ancora non ha cambiato registro, ma ripropone a Chris un approccio esistenziale
sregolato e trasgressivo. Il passato si insinua con flash-back sempre più
dilatati fino a raccontarci tutto di Chris, la sua timidezza, la sua passione
per la fotografia, la sua permanenza a Parigi, la lunga relazione con Annick,
l'incontro con Marion. E il confronto col presente lo tormenta nella disillusione
della scialba routine nell'interland londinese, si estrinseca nel desiderio
di qualche liberatoria avventura extraconiugale. Moraleggiante, ma non
ipocrita, Metroland non riesce ad essere struggente, ma non è
banale, rifrequentando i luoghi comuni generazionali tra retorica e incisività.
Vince forse la prima, ma l'impressione generale è piacevole.
Tutt'altre le sensazioni di fronte a TwentyFourSeven
dell'esordiente Shane Meadows, che cerca di essere quasi sgradevole nell'immergersi
in una provincia fatta di giovani sbandati e violenti, dove Alan Darcy
(Bob Hoskins) organizza un club di boxe per dar loro una ragione di vita.
Le difficoltà sono concrete: Knightly non sa trattenersi e si scatena
in pugni e calci quando le cose vanno storte, Fagash si abbandona spesso
ad alcol e droghe, Tim ha un padre ignorante e manesco che vessa di continuo
lui e la madre.
Alan, pur con la sua paterna e appassionata dedizione, purtroppo non l'avrà
vinta, ma alla distanza lascerà il segno. Il film si apre con Tim
che, alcuni anni dopo, lo ritrova morente in un vecchio vagone ferroviario
e si chiude con il suo funerale. Tutti gli amici si radunano davanti alla
bara e, a quanto sembra, le loro vite hanno assunto connotati di civile
rispettabilità…
Girato in bianco e nero, efficace nel registrare il greve disagio sociale
dei suoi protagonisti, TwentyFourSeven è un esordio di tutto
rispetto.
e.l. Il
Mattino di Padova 6 settembre 1997
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