Consolano,
fanno quasi tenerezza (soprattutto se confrontate col fosco panorama
politico e morale del Paese) sul tappeto rosso prima e poi in sala,
nei dodici minuti di meritati applausi, le belle facce da persone
colte e perbene delle sorelle Rohrwacher, col loro seguito di bambine
e sotto l’ala protettrice della fatina Monica Bellucci.
Siamo in estate, l’estate di una famiglia un po’ particolare. Il padre
Wolfgang (il tedesco Sam Louwyck - ballerino professionale nella
vita), la madre Angelica (Alba Rohrwacher), le quattro figlie,
un’amica ospite un po’ misteriosa di nome Coco. Tutta la famiglia è
transfuga da qualcosa, non sono contadini, ma hanno tagliato i ponti
con la città, non sono hippie, ma non sono imprenditori agricoli.
Wolfgang viene dal ’68, è contro la caccia, contro il turismo, la
mercificazione della campagna, incapace di compromessi, quasi fuori
dal tempo, o forse avanti rispetto al “suo” tempo (capace di comprare
un inutile cammello pur di rendere felici le figlie), iperprotettivo
nei confronti di tutte le donne di casa; Gelsomina, la figlia più
grande, abilissima nel lavoro, è il braccio destro del padre, sua
erede un po’ per necessità vista la mancanza, cui si accenna più
volte, di un figlio maschio.
Le difficoltà non si contano: dalla moria delle api causata dall’uso
sconsiderato di un anticrittogamico da parte dei vicini, alla
riluttanza delle figlie più piccole ad adeguarsi ai ritmi del lavoro.
Wolfang, tormentato dal bisogno di denaro, dapprima cede alla proposta
di un’ONG tedesca che, pagando bene, piazza presso famiglie contadine
dei giovani problematici per un periodo di rieducazione; ed ecco
comparire la figura di Martin, il ragazzino taciturno la cui unica
abilità è quella di saper fischiare in modo divino, forse a
rappresentare, anche per attributi fisici da piccolo Pan, di un mondo
più antico e misterioso come quello del popolo etrusco.
In questa dura realtà (tra l’altro l’Europa incombe: qualora non
riuscissero a “mettere a norma” l’antiquato laboratorio, verrebbero
obbligati a chiudere) ne irrompe un’altra: una troupe televisiva
sgangherata arriva nella piccola comunità promettendo notorietà, una
crociera o (addirittura) un sacco di soldi al vincitore di un concorso
(intitolato appunto "Le meraviglie d’Italia") riservato ai piccoli
produttori locali.
Gelsomina, e con lei tutte le bambine del paese, affascinata dalla
figura di Bianca (una ieratica Monica Bellucci), presentatrice del
programma, iscrive a sua insaputa il padre alla contesa.
Ad un certo momento si fa vivo un altro personaggio importante:
l’amico di vecchia data Adrian, già compagno di vita alternativa (si
parla di una comune), che manifesta una non specificata intimità con
Coco e arriva ad accusare la famiglia di essersi “imborghesita”
soltanto perché lavora.
Nella serata clou (che si svolge in una specie di sito archeologico
etrusco su di un’isola al centro di un lago che deve essere il
Trasimeno), mentre gli altri concorrenti si piegano a dare
un’imbarazzante immagine di sé (travestendosi da antichi etruschi, da
lupi, esibendo la vecchia nonna, le ragazzine tutte ballando come
nuove, antiche veline in quanto rappresentanti di una falsa
“naturalità” di sicuro effetto televisivo), Wolfang riesce solo a
farfugliare parole senza senso che vengono dal suo passato
alternativo: “noi siamo diversi, il mondo sta per finire …”. La serata
avrà un misterioso epilogo nella scomparsa/ritrovamento di Martin da
parte di Gelsomina. Ma alla fine tutti si ritroveranno,
simbolicamente, sul lettone all’aperto, sotto lo sguardo del cammello,
simbolo dell’atto gratuito per eccellenza.
Quali sono queste Meraviglie? Sembra dirci la Rohrwacher “ci sono le
piccole vere meraviglie della vita: gli affetti, i bambini, il lavoro
ben fatto, il rispetto della natura. Poi ci sono le grandi meraviglie,
quelle false della TV, dello show business di cui Bianca è
ambasciatrice e seduttrice”. Raccontando una vicenda vagamente autobiografica (papà Rohrwacher, di
origine tedesca è effettivamente un apicultore, i luoghi e la parlata
sono quelli al confine fra Umbria e Lazio, dove lei è cresciuta),
Alice R. ci parla delle cose che conosce e le stanno a cuore: la
famiglia allargata che a volte opprime, ma cui si può tornare; la
terra/campagna che ci pone tanti problemi, ma non per questo dovrebbe
essere abbandonata o trasformata in una quinta teatrale di cascine iper-restaurate e bed & breakfast fasulli; i rapporti tra due
generazioni “lontane”, una proveniente da sconfitte e utopie, ma
sempre portatrice di una sua purezza, l’altra inerme di fronte alle
false promesse di un mondo standardizzato e falsificato dalle TV.
Impareggiabile lo “spettacolino” di Gelsomina (Alexandra Lungu, di
origine romena) la quale, bella come una madonna di Pier della
Francesca, si fa entrare e uscire dalla bocca delle api!
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