"Ho voluto ritrovare la mia infanzia,
a Liverpool tra gli otto e gli undici anni. Sono stati gli anni più
belli della mia vita, di incantevole felicità e pienezza. Un vero
paradiso, cominciato con la morte di mio padre. Io lo odiavo perché
era un uomo brutale che mi terrorizzava e pestava mia madre davanti a me
che così piccolo non potevo difenderla. Il periodo senza mia padre
stato per me meraviglioso, anche se la mia famiglia era povera, priva di
tutto, ma c'era questo grande senso di amore e di continua scoperta. Poi
però anche il paradiso è finito: in un giorno qualunque dei
miei undici anni, quando su un'impalcatura di fronte a casa nostra ho visto
un giovane muratore a torso nudo. Ho provato un'emozione violenta che mi
ha fatto precipitare nell'orrore..."
Già nei due film precedenti Terence
Davies aveva rivelato il suo grande intimismo, la sua struggente composizione
di forme, colori e ricordi. In
The Long Day Closes, passato purtroppo
a Cannes senza alcun riconoscimento, egli arriva alla perfetta astrazione
di qualsiasi meccanismo narrativo: non una storia, non un racconto che
si evolve, solo le suggestioni delle immagini e delle voci della sua infanzia
nell'Inghilterra degli anni 50. Una nostalgia che diviene sensibilità
estetica in un'opera radicalmente sincera ed evocativa. Il peso della
sua condizione di omosessuale (portato alla disperazione e all'angoscia
della morte in Trilogia, 1973-1983)
si è qui placato in una stagnante perfezione stilistica che, riprendendo
le atmosfere domestiche, la coralità sonora di Voci
lontane, sempre presenti (1988), sublima nel rigenerarsi della
memoria un passato che non sono solo dolci ricordi personali, ma frammenti
veraci di una storia sociale su cui forgiare e rivitalizzare le amarezze
del presente.
"Gli anni che faccio rivivere in
The Long Day Closes
sono stati davvero dolci ed indimenticabili. Ciò che resta nella
memoria, ciò che la evoca per me sono i suoni, le voci, che nel
film hanno un ruolo predominante. I luoghi canonici di allora erano la
casa, il quartiere, la scuola, la chiesa. In quei giorni avevamo il tempo
per tutto questo, per stare insieme, e poi per divertisi, per cantare,
per andare al cinema. Era un mondo diverso che aveva il senso della comunità
e della decenza, che non era né materialista né rapace come
adesso"
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