Luna Papa
Bakhtiar Khudojnazarov – Russia/Germania/Austria 19991h 46’

da Il Manifesto (Silvana Silvestri)

Film a ritmo scatenato, dolce come una favola e leggermente inebriante Luna Papa di Bakhtiar Khudojnazarov (il misterioso titolo significa semplicemente "Papà Luna") è un esempio di miscuglio culturale che ha come scena non la solita metropoli come siamo ormai abituati a vedere al cinema, ma la transcaucasia, tra deserto, piccoli villaggi e un lago. Un tempo sede di repubbliche sovietiche popolate dalle più diverse migrazioni secondo i piani del partito, luoghi lontani come la luna (e infatti Tarkovski ambientò da quelle parti il suo fantascientifico Stalker) oggi resi molto più vicini dai conflitti e dalle linee percorse su e giù dai trafficanti di ogni genere, proprio come un tempo avveniva intorno a Samarcanda. In quella zona dove tutto è possibile, dove le tracce della guerra sono ben visibili, si svolge il piccolo dramma quotidiano di Mamlakat (Chulpan Khamatova), sedotta nell'oscurità al ritorno dal teatro, sua grande passione, da qualcuno che lei ha scambiato per un attore. Ora aspetta un bambino e non sa neanche da chi. Il padre come una furia batte tutti i teatri della zona insieme a lei e al fratello tornato dalla guerra in stato confusionale ma non tanto da non sapere qual è il bene e qual è il male. Infine un marito si trova, ma la vita è sempre imprevedibile. Il film travolge tutto sul suo cammino, il campo visivo sempre affollato e intrecciato di eventi (passano carri armati con mafiosi, pesci guizzano dalle mani dei pescatori, aerei turistici sfrecciano a bassa quota, mentre cambia il colore del lago, fischiano pallottole, passano malfattori, sferragliano treni) tutti indizi che come dicevamo possono risultare chiari anche allo spettatore medio abituato al set esotico dalla televisione, alla sarabanda d'oriente da Kusturica: ma il racconto non è ispirato a lui, è piuttosto simile ai canti popolari, ai poemi antichi, al corso travolgente della storia recente in Urss, alla lunghissima tradizione cinematografica delle repubbliche, all'umorismo distillato dalla Georgia.

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

Si può essere più kusturichiani di Emir Kusturica? Apparentemente sì a giudicare da Luna Papa, presentato l'anno scorso a Venezia e a Alpe Adria Cinema di Trieste, un film scritto e diretto da Bakhtjar Khudoinazarov, giovane regista tagiko già premiato nel '93 con il Leone d'argento. In un villaggio dell'Asia ex-sovietica posato sulle rive di un lago, la giovanissima Mamlakat si ritrova incinta dopo una notte di luna piena. Il papà potrebbe essere un attore venuto a recitare l'"Otello" e già ripartito con la sua piccola compagnia, uno straniero che l'ha accarezzata nel sogno di diventare attrice raccontandole di essere amico di Tom Cruise. Il villaggio mormora contro la ragazza, che sarebbe dell'idea di liberarsi del bambino (ma noi sappiamo subito che non lo farà, per la buona ragione che è proprio il nascituro a raccontarci la storia). È di parere diverso suo padre, il collerico Safar, il quale decide di partire a caccia di nozze riparatrici portandosi dietro la disonorata e Nasreddin, il figlio scemo reduce dalla guerra in Afghanistan. E via verso Samarcanda e Bukhara, traversando una terra di nessuno che sembra il Far West e in cui circolano banditi, reduci armati e pericolosi, imbroglioni di ogni genere. (...) Tutti corrono e si agitano un sacco, proprio come nei film di Kusturica; dietro la patina alla Emir, però, fanno capolino riferimenti alla tradizione cinematografica autoctona, come il realismo fiabesco di un Paradjanov o quello del georgiano Abuladze. Affiorano, qui e là, ruderi come cattedrali nel deserto, con effetti scenografici sorprendenti. Meno sorprendente l'epilogo, dove una casa tira fuori l'elica e prende il volo con effetto parecchio artificiale. E qui viene fuori, per lo spettatore occidentale, il problema di un film come Luna Papa: volta a volta affascinante o irritante, ma sostanzialmente difficile da decifrare quando si conosce troppo poco la cultura che lo genera. In questi casi finisci per spendere termini di circostanza come "onirico", "fiabesco" o "arcano", senza avere mai la certezza se il film nasca soltanto da un immaginario diverso dal tuo o non ti prenda, anche, un po' in giro.

da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro)

Siamo nei paraggi di Samarcanda e una bella ragazza viene sedotta e abbandonata, complice una notte di luna piena, da uno pseudo attore. Al padre, aiutato dal fratello, spetta il compito dell'inseguimento e della vendetta, tremenda vendetta, su un'auto scassata, lungo una serie di panorami bellissimi, affidati al talento visionario di Bakhtiar Khudojnazarov, che fa raccontare la storia al nascituro che si affaccia su questo pazzo pazzo mondo, fa trovare un uomo disposto a riparare il torto, tenendosi un jolly finale. Ogni aggettivo vale: grottesco, fantastico, scatenato, alla scuola di Kusturica ma degno anche di García Márquez nel ribaltamento di ogni logica. Il trionfo del fantasy anche psicologico, costruito con l'artigianato di una fantasia personale legata alla tradizione di una cultura (più superstizione, leggenda) e di una geografia, l'Asia ex sovietica, come regola narrativa per "épater" un pubblico stufo del computer e che troverà qui occasioni per stupirsi e forse anche commuoversi su questa gente travolta da molto insoliti destini.

scheda CGS marzo 2000
[TORRESINO]